Breve storia degli scavi di Tharros dal 1800 ad oggi

Chissà come si presentava agli occhi dei primi studiosi l’area ai piedi della torre spagnola di San Giovanni quando, a partire dal 1800, cominciarono i primi scavi sistematici di Tharros. Dopo circa 2 secoli di lavori, il sito oggi appare composto da decine di strutture che potremo visitare insieme.

Le indagini del XIX secolo

Le prime indagini hanno visto la partecipazione di diverse figure: da scalpellini a medici, da prelati a ingegneri, passando per militari, avvocati e magistrati. Fin dal XIX secolo, i reperti provenienti dalle necropoli di Tharros sono stati contesi tra collezionisti e centri museali italiani ed europei. Gli scavi delle tombe puniche e romane (1838 e 1842) realizzate dal Re Carlo Alberto, per esempio, hanno portato alla luce reperti attualmente conservati a Torino. Invece le indagini fatte da Lord Vernon su una ventina di ipogei punici (tombe scavate nel sottosuolo), andarono ad arricchire di manufatti soprattutto il British Museum di Londra.

Tomba ipogeica Tharros (Giovanni Spano)
Illustrazione dell’interno di una tomba ipogeica punica scoperta durante le prime ricerche condotte dal canonico Giovanni Spano (Fonte: Acquaro e Finzi 1986: 23).

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Pochi anni dopo furono intrapresi i primi scavi sistematici di Tharros, ad opera dei funzionari del Museo di Cagliari (1844) e del canonico Spano (1850). Questo non impedì ad alcune persone del luogo di operare un grande saccheggio, datato al 1852, che portò alla dispersione del materiale ritrovato in collezioni pubbliche e private. I reperti raggiunsero così il Louvre di Parigi, il British Museum, Berlino e Copenaghen.

Gli scavi archeologici nell’abitato

Negli anni tra la fine della prima guerra mondiale e la seconda (1926-1932), furono condotte delle ricerche da parte dell’ingegnere Edoardo Busachi sul rifornimento idrico di Tharros nel periodo romano.

Ma fu con Gennaro Pesce, allora Soprintendente alle Antichità di Cagliari, che furono avviati gli scavi che riportarono alla luce gran parte dell’area di Tharros oggi accessibile al pubblico. Dal 1956 al 1963 fu scavata la parte dell’abitato che si pone a destra della torre di San Giovanni e la zona del tofet nell’area di Murru Mannu.

Da allora le campagne archeologiche si sono succedute fino a oggi, con la partecipazione di diversi specialisti e Università, anche straniere. Fra i più importanti, gli scavi condotti da Ferruccio Barreca, in qualità di Soprintendente archeologo per le province di Cagliari e Oristano. Barreca individuò il tempietto sulla punta estrema di Capo San Marco (1958), e rimise in luce il cosiddetto tempio di Demetra e le fortificazioni di Su Murru Mannu (dal 1969 al 1973). Ricordiamo anche le campagne annuali svolte dal 1974 al 1996, durante le quali furono effettuate le due prime indagini subacquee (1979 e 1984). Queste furono condotte lungo il litorale di Capo San Marco ad opera, inizialmente, dell’Istituto per la Civiltà fenicia e punica del CNR di Roma e della Soprintendenza di Cagliari e Oristano. Poi la stessa Soprintendenza effettuò ulteriori indagini con la collaborazione tecnico-scientifica di una missione israelo-americana. A partire dal 2003, inoltre, sono state condotte ricerche geo-archeologiche e geo-morfologiche nella vicina area lagunare di Mistras dalle Università di Sassari, di Cagliari e di Bologna.

Le ricerche archeologiche nelle necropoli

Parallelamente agli scavi nel centro abitato, si sono svolti alcuni saggi nelle necropoli. Quella settentrionale, situata nell’attuale borgata di San Giovanni di Sinis, è oggi visibile grazie ad un intervento di valorizzazione che risale al 2001. Tra gli anni 2009-2013 l’area funeraria è stata indagata ad opera dell’Università di Cagliari, sotto la direzione della Prof.ssa Carla del Vais. Il risultato più significativo è stata la scoperta di una zona di età fenicia databile tra l’ultimo quarto del VII sec. a.C. e la prima metà del VI, con sepolture ad incinerazione in fosse scavate nella sabbia.

La necropoli meridionale invece, è stata oggetto di una nuova indagine nel 1981 da parte della Soprintendenza Archeologica, e poi ancora tra il 1988 e il 1991 sotto la direzione del Prof. Giovanni Tore dell’Università di Cagliari. Dal 2001 al 2004, la missione congiunta della Soprintendenza Archeologica e dell’Università di Bologna, in collaborazione con l’Università di Cagliari, ha portato all’identificazione di numerose tombe di età fenicia e punica. Dal 2012 sono ripresi gli scavi sotto la direzione della Prof.ssa Anna Chiara Fariselli dell’Ateneo di Bologna, coadiuvati dalla Prof.ssa Carla del Vais dell’Università di Cagliari.

Gli ultimi dati archeologici sulla Tharros punica

In occasione della Conferenza “Tharros. I luoghi dei vivi – I luoghi dei morti”, organizzata dall’Associazione Tzur San Giovanni di Sinis e celebrata il 1 Agosto 2017, sono stati presentati gli ultimi dati sulle attività archeologiche in corso in tutto il territorio tharrense e riferibili al periodo punico.

La Prof.ssa Carla del Vais riassume le numerose informazioni riguardanti la città di Tharros, evidenziando come l’area occupata in antichità si estendesse ben oltre l’attuale recinzione della parte visitabile. Un esempio sono i grandi blocchi visibili ai piedi della Torre di San Giovanni. Costituivano probabilmente la cinta muraria che cingeva Tharros in età punica (intorno al VI a.C.), forse rimaneggiata sotto i Romani.
Di particolare interesse sono le indagini svolte nell’entroterra della Penisola del Sinis che hanno messo in luce diversi villaggi rurali che sfruttavano i suoli fertili e le cui derrate alimentari confluivano nella Tharros punica. Questi studi stanno permettendo di ampliare le conoscenze sull’economia, ma anche sulla vita quotidiana degli abitanti dell’area tharrense.

La studiosa ha precisato però che sono ancora tanti i punti da chiarire sulla città di Tharros. Uno fra tutti riguarda il luogo in cui sorse il centro urbano corrispondente alle tombe più arcaiche, risalenti alla fine del VII secolo a.C. A tutt’oggi non si conosce nessuna struttura abitativa della fase fenicia. Infatti, i resti che possiamo ammirare oggi all’interno dell’area archeologica corrispondono all’ultima fase punica, ma soprattutto alla città di epoca romana.

Il secondo intervento invece, è stato presentato dalla Prof.ssa Anna Chiara Fariselli e ha riguardato le pratiche funerarie della popolazione punica. I dati esposti si riferiscono alle due aree di sepoltura, rispettivamente l’area di San Giovanni (necropoli settentrionale) e Capo San Marco (quella meridionale), oltre che il tofet (santuario a cielo aperto destinato ai bambini). La studiosa ha evidenziato come la conoscenza delle pratiche rituali compiute dagli abitanti di Tharros, in età fenicia e poi punica e romana, permetta di approfondire la vita quotidiana di queste popolazioni, strettamente legata ai culti e alla sacralità.

Il tofet è datato dalla fine del VII al II a.C. ed accoglie i resti incinerati di neonati e bambini fino ai 5 anni di età. Non è chiaro quali rituali venissero svolti, ma alcune rappresentazioni scolpite sulle stele (pietre infisse nel terreno), fanno ipotizzare la presenza di sacerdoti, con indosso un copricapo particolare e la barba a punta. I confronti più stringenti con le immagini ritrovate a Tharros sono con la città di Cartagine, nell’attuale Tunisia.

L’interpretazione sulla funzione del tofet è ancora controversa, dovuto anche alla presenza di sepolture di bambini nelle necropoli.

Per quanto riguarda le due aree di sepoltura, settentrionale e meridionale, il confronto dei dati emersi ha permesso di evidenziare un’omogeneità sia nei tipi di sepoltura che nei rituali praticati. In entrambe vi è una fase arcaica composta da defunti incinerati, posti dentro fosse ellittiche coperte da lastre di arenaria.

In età punica, invece, vengono costruite le tombe ipogeiche (scavate nella roccia) che sembrano disposte in lotti, forse corrispondenti a clan familiari. I tipi principali sono le tombe a fossa monumentali e quelle a camera. Le prime sono spesso arricchite da nicchie e “false porte” (rappresentano il punto di comunicazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti). Quelle a camera presentano a volte dei gradini di accesso posti ai lati, oppure delle “pedarole”, ossia degli incassi scavati lungo le pareti che permettevano di discendere al loro interno.


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L'Autore

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Claudia Sanna
Archeologa e guida turistica, appassionata del mio lavoro, attiva nella comunicazione e promozione del patrimonio culturale.

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