Il castello di Medusa nel territorio di Samugheo è realmente un maniero ricco di storia e avvolto da un’aurea di mistero, spesso alimentata da fantasiose leggende popolari. Edificato nel corso del periodo bizantino in Sardegna, il castrum è stato oggetto nei secoli di depredazioni, il più delle volte dettate dalla brama di ritrovare fantomatici tesori. Ciò ha contribuito a compromettere la stratigrafia archeologica e di conseguenza la ricostruzione puntuale delle varie vicissitudini che lo hanno interessato.
Nonostante questo, il castello di Medusa è un sito di incantevole bellezza ed è molto importante per la storia del territorio di Samugheo e dell’Isola. Infatti, noi di Mare Calmo abbiamo deciso di dedicargli un articolo, al quale ne seguirà presto un altro di approfondimento. Buona lettura!
Localizzazione del castello
Il castello di Medusa è situato al confine tra il comune di Samugheo ed il comune di Asuni, nella regione storica del Mandrolisai. La zona è conosciuta come Brabaxianna, che vuol dire “Porta della Barbagia“.
Il suo territorio, caratterizzato da una serie di monti, diruppi e pareti rocciose, è particolarmente interessante non solo dal punto di vista storico ed archeologico, ma anche naturalistico. Infatti, nel 2012 una delibera della Regione Sardegna l’ha nominato area SIC (Sito di Interesse Comunitario), la quale è estesa circa 493 ettari e si situa tra i comuni di Samugheo, Asuni e Laconi.
Tale regione geografica presenta un paesaggio incontaminato, poco antropizzato, ricco di sorgenti d’acqua e di grotte di cui ne sono note 18, localizzate lungo le falesie rocciose del castello. Tra le specie animali monitorate e protette di ricorda il geotritone sardo, che dimora in queste spelonche.
Il castello è stato costruito su una penisola calcarea, conosciuta come Sa Conca de su Casteddu e caratterizzata da pareti a picco sui fiumi sottostanti: il rio Araxisi, proveniente dall’area occidentale della Barbagia e il rio Mistoradroxiu, che scorre verso Asuni e si riversa nel primo proprio ai piedi del maniero. In particolare, l’Araxisi nella zona di Fordongianus diventa un affluente del Tirso. L’idrografia del luogo anche in questo caso è da tenere in considerazione, visto che i corsi d’acqua da sempre hanno rappresentato una delle basi della viabilità umana.
Storia degli scavi e degli studi
La maggior parte degli studiosi sono concordi nell’identificare il castello di Medusa con il Castrum Asonis, citato in documenti giudicali risalenti al 1189 e relativi ad una corrispondenza avvenuta tra Pietro I d’Arborea e il Comune di Genova. Si faceva riferimento al debito contratto da Barisone d’Arborea, il padre di Pietro, con il comune ligure al fine di ottenere l’appoggio della Repubblica marinara per la sua successione dinastica. Il castrum, dunque, venne ceduto in pegno ai genovesi il 7 febbraio 1189 e poi recuperato da Pietro I il 29 maggio dello stesso anno, in cambio di un pagamento annuo di 80 lire genovesi. Nel periodo di intervallo tra le due date, il maniero venne abitato da 7 servientes (servitori) ed un castellano, nominati dal Comune di Genova, mantenuti e stipendiati dal giudice arborense.
Nel 1844 il castello fu teatro di indagini poco lecite. È noto che un tale Francesco Perseu, bandito di Asuni e condannato a 7 anni di reclusione nelle carceri genovesi, riuscì a corrompere il tenente dei Cavalleggeri del re, Luigi Parodo e il viceré Marchese De Launay, raccontando di un ricco tesoro da lui stesso rinvenuto nei sotterranei del castello. Questo era appartenuto ad un mitico re dalle orecchie d’asino e alla moglie, la regina Medusa. L’intervento di ricerca fu uno dei tanti che il castello subì durante la sua storia, compromettendo le indagini archeologiche successive.
Le prime prospezioni scientifiche si devono ad Alberto Della Marmora che nel 1860 pubblicò a Torino il suo Itinéraire de la Sardaigne. Gli si deve la prima descrizione nel dettaglio degli elementi costruttivi del maniero. In particolare, nomina una cisterna, i cui ruderi sono ancora oggi visibili. Fa menzione anche del ritrovamento di una serie di monete con l’effige di imperatori bizantini a partire da Giustiniano. Per questo, non ebbe dubbi nell’interpretarlo come un castrum bizantino, presidio di Forum Traiani (oggi Fordongianus) dove risiedeva il dux (capo militare). La sua funzione era quella di difendere l’accesso al Campidano di Oristano contro le incursioni dei Barbaricini che abitavano le zone interne dell’Isola.
Un anno dopo, nel 1861, il Canonico Giovanni Spano pubblicò un articolo sul Bullettino Archeologico Sardo in cui parla del castello, che chiama di Orgìa o di Georgìa o di Samugheo. Anch’egli fa riferimento alla cisterna lungo le fortificazioni occidentali e ad un avancorpo settentrionale, che chiama “Sa Turri”. Pur accettando la datazione di Della Marmora, non è concorde con lui nell’interpretare il castello come struttura difensiva, bensì come carceri per via, secondo la sua analisi, dell’assenza di strade romane vicine e la scarsa difendibilità del luogo.
Successivamente, nel 1985 fanno la comparsa una serie di saggi scritti da Salvatorangelo Mura e pubblicati nella rivista Vita nostra. Egli sostiene che Alberto Della Marmora effettuò degli scavi archeologici nel 1835, sia all’interno del castello che in una presunta necropoli romana vicina ad esso. A queste indagini avrebbe partecipato anche l’allora sindaco di Samugheo, don Giuseppe Sedda, il quale nel 1840 avrebbe redatto una dettagliata relazione, poi andata perduta a causa di un incendio. Secondo quanto riportato dal Sedda, era stata rinvenuta nella suddetta area funeraria un epitaffio appartenuto ad un militare sardo romanizzato, morto a 35 anni dopo aver militato nella cohors praetoria Sardorum. Questa fu fondata dall’imperatore Vespasiano nel 73/74 d.C., e nell’88 d.C. venne fusa con quella dei Corsi. Tale pubblicazione, fu ripresa più tardi dallo stesso prof. Raimondo Zucca, che ipotizzava la presenza di un reparto della I coorte di Sardi nel castello di Medusa, fortezza a protezione del confine con la Barbagia che correva lungo l’Araxisi.
Don Giuseppe Sedda, inoltre, avrebbe ricordato il rinvenimento da parte di Della Marmora di un’iscrizione in trachite con una dedica da parte del prefetto del pretorio di Forum Traiani all’imperatore Giustiniano. Se ciò è vero, sarebbe l’unica iscrizione in tutta l’Isola in onore di questo sovrano bizantino. Di certo, quello che desta i maggiori dubbi è il fatto che lo stesso Alberto Della Marmora nella sua pubblicazione del 1860 non citi i suoi stessi scavi, ivi condotti 25 anni prima!
I primi scavi veramente scientifici risalgono agli anni Novanta del secolo scorso finanziati dall’Unione dei Comuni del Barigadu. Grazie a queste importanti campagne archeologiche condotte sul campo da Fabrizio Fanari (1196-1997) e da Rita Esposito (1999-2000) si è compreso che il castello è stato costruito al di sopra di un abitato preistorico risalente alla fase sub-Ozieri (2600-2400). Questo è stato stabilito grazie al rinvenimento di frammenti ceramici e di una punta di freccia in ossidiana.
Si ricorda che ai piedi del costone roccioso su cui insiste il maniero, era già nota una grotta usata a scopo funerario nell’ultimo periodo del Neolitico in cui sono stati rinvenuti alcuni frammenti di ceramica non decorata pertinenti all’ultima fase della Cultura Ozieri, frammenti di ossidiana ed un incisivo appartenuto ad uno degli inumati.
Tali campagne archeologiche sono state utili per definire la planimetria dell’edificio e per stabilire una cronologia dello stesso. Sono emersi infatti, dall’ambiente rettangolare addossato alla cisterna (ambiente D), alcuni frammenti ceramici di sigillata D, ma anche frammenti di ceramica da cucina e di denti di animali tra cui suini e bovini. Si menzionano inoltre alcuni oggetti di lusso come alcuni vetri con inserti blu, un pilastrino decorato, un anello d’oro da donna e conchiglie marine.
Non sono emersi materiali appartenuti a militari come armi o fibbie di cintura. Dunque si è ipotizzato che il castello avesse sì una funzione difensiva, ma soprattutto economica di controllo delle risorse locali tra cui gli accessi alle miniere vicine, alcune delle quali anche di argento. Gli oggetti di lusso potrebbero essere appartenuti a personaggi d’alto rango che ivi dimorarono per ragioni poco note. Purtroppo, le numerose ricerche non scientifiche condotte in loco, con il fine di riportare alla luce presunti tesori, hanno compromesso la stratigrafia archeologica e di conseguenza una ricostruzione attendibile delle fasi storiche del castello. Si segnala, inoltre, che sono venuti alla luce pochissimi oggetti datati alla fase giudicale. È ipotizzabile dunque che il castello, edificato in età bizantina tra il VI/VII secolo d.C., nel periodo Basso Medievale fosse già in decadenza.
Descrizione e funzione del castello
Il castello di Medusa si adatta perfettamente allo sperone roccioso su cui è stato costruito e presenta un orientamento NNW/SSE. Ha una poderosa cinta muraria, costruita con blocchetti di marmo bardiglio locale, che racchiude al suo interno diversi ambienti di forma quadrangolare e ha almeno 3 torri, di cui una usata anche come cisterna.
Lungo i versanti ovest ed est sono presenti due probabili avamposti di guardia, per controllare meglio gli accessi al castello.
In maniera particolare quello occidentale guardava verso il sentiero che risale dall’Araxisi.
Si nota che il castello è protetto in diversi punti dalle asperità della roccia e che le pareti del maniero fungevano esse stesse da protezione, senza ulteriori rifasci murari.
L’ingresso antico coincide con quello attuale, situato a nord. È dato da un lungo e stretto corridoio che termina con un piccolo ambiente quadrangolare d’accesso munito di soglia, ancora oggi visibile, e di un ulteriore varco munito di incavo impresso nella pietra in cui alloggiavano i cardini della porta.
Alla sua destra svetta una torre di protezione, in cui, prima del restauro avvenuto a seguito degli scavi degli anni Novanta, residuavano 5 fori posti a distanze regolari di 0,40/0,70 cm l’uno dall’altro, e pertinenti forse ad una scala ed ad un soppalco in legno che consentivano di accedere alla torre stessa.
La zona settentrionale è inoltre caratterizzata da un possente avamposto costituito da un’ulteriore torre di forma pentagonale, munita di camera trapezoidale.
Lungo il limite occidentale sono riconoscibili una cisterna, che era probabilmente il piano inferiore di una terza torre. Essa presenta una pianta rettangolare e doveva essere coperta da una volta a botte. Le sue pareti hanno un colore rosato per via dell’intonaco ottenuto dal cocciopesto, ossia dalla frantumazione di frammenti ceramici per impermeabilizzarle.
Ad essa si addossa un ambiente rettangolare (ambiente D), suddiviso in tre stanze più piccole da tramezzi murari. Il primo vano ha restituito durante gli scavi, una successione di tre pavimenti, due in cocciopesto ed uno in calcare allettato in malta. Il secondo piano di calpestio ha restituito frammenti ceramici di sigillata africana tarda (VI secolo d.C.), resti di pentole e di una ciotola per cucinare e consumare i cibi.
Queste determinate forme ceramiche propendono per un’alimentazione a base di bolliti e zuppe. Altre ceramiche come quelle a decorate a pettine, suggeriscono un utilizzo continuo di questi spazi sino al VII secolo d.C.
Proseguendo verso la porzione meridionale, sono riconoscibili a sud-est ulteriori vani raccordati tra di loro da un ipotetico cortile. Sia questi ultimi, che gli altri vani su menzionati erano funzionali alla vita all’interno del castello ed erano ipoteticamente stanze, vani di servizio, magazzini, stalle per gli animali.
A causa dei pochi dati scientifici a nostra disposizione, è molto difficile comprendere esattamente la funzione del castrum. Quello che fin ora si può ipotizzare è che si tratti di un maniero sorto in questa zona strategica durante l’impero di Giustiniano nel corso del VI secolo d.C., su un’area già precedentemente abitata fin dal periodo Neolitico.
Secondo Mauro Perra, che pubblicò un articolo sulla rivista Studi Sardi nel 1991, il castello di Medusa fu costruito in età bizantina, forse su un castrum tardo romano più antico, per difendere il limes barbaricino. Infatti, egli pensa che nei pressi del castello passasse la via “per mediterranea“, o un suo diverticolo. Menzionata nel III secolo d.C. dall’Itinerarium Antonini (Itinerario Antonino), questa era la strada che passava “per le terre” ossia all’interno dell’Isola, così come l’Araxisi che proviene dalla Barbagia. Mauro Perra identifica una porzione di questo tratto stradale con la strada visibile dal costone est dell’altopiano calcareo, la quale conduce verso il paese di Meana Sardo.
Tuttavia, come già ricordato, l’assenza sin ora di materiali specificatamente appartenuti a militari, e il rinvenimento invece di materiali di lusso (come l’anello, i vetri, le conchiglie marine) fanno credere che il castello durante la sua storia sia stato abitato da personaggi illustri che avevano, forse, su questo territorio dei fini economici, vista la presenza di miniere.
Storie e leggende popolari legate al castello di Medusa
Il castello di Medusa è da sempre avvolto in un’aurea di mistero ed è stato il teatro di racconti fantasiosi che hanno alimentato le credenze e le leggende popolari.
La più famosa è quella del re Medusa che aveva come amante una jana di nome Maria Incantada. Il re, che dimorava nel castello, aveva molti nemici. Si narra infatti, che quando andava a trovare la sua amata, ferrasse il suo cavallo al contrario, in maniera tale da non lasciare tracce del suo passaggio. Maria Incantada abitava in una località più vicino all’odierno paese di Samugheo e tesseva con un telaio d’oro i cui colpi si sentivano sino all’abitato, come i rintocchi di una campana. Il sovrano custodiva nelle segrete del castello un magico tesoro.
Questo racconto e molti altri hanno per secoli alimentato le fantasie e la fame dell’oro di numerose persone, che si recavano al castello alla ricerca di ricchezze. Ciò, come nell’episodio del bandito Perseu, ha fortemente compromesso la stratigrafia archeologica lasciando buche nel terreno ancora oggi visibili durante la visita del castello. È anche per questo motivo che oggi risulta difficile dare un’interpretazione esatta circa le strutture del castello e la sua funzione sul territorio. Il castrum Asonis dunque continua ad essere misterioso, suggestivo e a destare interrogativi a coloro che lo visitano.
Per approfondire:
Armanguè y Herrero, J. 2003, Perseo e Medusa nell’immaginario tradizionale: ricerche di tesori nel castello di Samugheo. In S. Chirra ed., Roccas 2 pp. 105-120
Bartolo G. & Muzzetto, G. 1991, Il castello di Medusa. Ambiente, leggende, grotte.
Busia, S. 2002, Il tesoro del castello di Medusa. In S. Chirra ed., Castelli in Sardegna. Roccas 1, pp. 95-100.
Farris, G. 1988, Nel castello di Medusa la impronte di una triste leggenda medievale. Quaderni oristanesi, 7, 17-18, pp. 3-17.
Perra, M. 1990-1991, Il castrum di Medusa (Samugheo, Oristano) ed il limes romano bizantino contro le Civitates Barbariae. Nota preliminare. Studi Sardi, XXIX, pp. 331-377
Sanna, E., 2022, Il Castrum di Medusa. In AA.VV. Il Tempo dei Vandali e dei Bizantini, pp. 91-93.
Commenti