Disculpa, pero esta entrada está disponible sólo en italiano. For the sake of viewer convenience, the content is shown below in the alternative language. You may click the link to switch the active language.Sono passati oltre 40 anni da quando nel 1974 Sisinnio Poddi e Giuseppe Atzori rispettivamente scoprirono e intuirono l'importanza del sito nuragico di Mont'e Prama. Dopo decenni di studi, che tuttora proseguono, gli archeologi continuano a interrogarsi sull'origine e la reale funzione del sito. Tutti però concordano su un fatto: Mont'e Prama è un'area di estremo interesse per l'archeologia sarda. In questo articolo cercheremo di riflettere sul perché questa necropoli nuragica è così importante, e a cosa deve la sua unicità. 1. La datazione Uno dei temi più dibattuti dagli archeologi è l'inquadramento cronologico del sito di Mont'e Prama. Si datano infatti in modo discordante le poche ceramiche rinvenute (Ugas 2012: 265-277, Leonelli 2014: 263-292). Dai dati emersi, un numero cospicuo di specialisti propende per i primi secoli del I millennio a.C., periodo corrispondente alla Prima Età del Ferro. Siamo in una fase di grandi cambiamenti coincidenti con l'arrivo di gruppi fenici e il loro stanziamento nell'isola. Altri invece ritengono più probabile che il periodo di riferimento sia a cavallo tra II e I millennio a.C., ossia nel passaggio tra il Bronzo Finale e la Prima Età del Ferro. In questo caso, avremo una civiltà nuragica in cui si assiste alla <<crisi dei sistemi territoriali incentrati sul nuraghe>> (Leonelli 2014: 266). Negli ultimi anni le datazioni al Carbonio 14 sulle ossa contenute nelle sepolture, contribuiscono ad alimentare il dibattito. Tali datazioni oscillano tra la fine del Bronzo finale e il primo Ferro avanzato. La tomba a pozzetto con lastra di copertura n Bedini potrebbe corrispondere circa al 1000 a.C. La tomba "a pseudo-cista" 8 Bedini potrebbe corrispondere a un periodo tra il
Disculpa, pero esta entrada está disponible sólo en italiano. For the sake of viewer convenience, the content is shown below in the alternative language. You may click the link to switch the active language. Sono passati oltre 40 anni da quando nel 1974 Sisinnio Poddi e Giuseppe Atzori rispettivamente scoprirono
La presenza di fonti d'acqua è stata da sempre uno dei fattori indispensabili per la nascita e lo sviluppo degli insediamenti umani. L'acqua è anche via di comunicazione e di navigazione, oltreché elemento sacro al centro di diversi culti. Durante la vita millenaria della città di Tharros sono stati utilizzati diversi sistemi di approvvigionamento. Li potremo analizzare durante la nostra visita guidata. Dalle cisterne "a bagnarola" di epoca punica passeremo al sistema romano di distribuzione urbana, basato sulla circolazione continua dell'acqua. Le cisterne "a bagnarola" di tipo punico Questo tipo di cisterne è ben documentato nella città di Tharros, documentandosi circa 18 esemplari localizzati soprattutto nell'area del quartiere abitativo. Lungo la pendice orientale del colle di San Giovanni (appena entrati nell'area archeologica sulla destra) sono frequenti, infatti, le cisterne che si caratterizzano per: la forma rettangolare, i lati corti arrotondati, la copertura a spioventi o a piattabanda (lastre disposte orizzontalmente). Presentano spesso un rivestimento idraulico formato da diversi strati di intonaco che ne garantiva l'impermeabilità. Particolare di una delle cisterna "a bagnarola" con blocchetti squadrati in pietra Non mancano alcune cisterne anche nell'area dove furono costruiti edifici sacri e pubblici come il tempio delle semicolonne doriche e l'area delle due colonne. Una delle cisterne meglio conservate poteva contenere circa 72 m3 d'acqua piovana. Era rifornita da due canalette provenienti rispettivamente da Nord e da Ovest. Alcuni di questi sistemi di adduzione sono realizzati con tubi di terracotta ad incastro disposti nei tagli artificiali del banco roccioso o nelle murature degli edifici. Per poter attingere l'acqua, sono stati documentati due sistemi differenti: il primo è un pozzetto laterale, il secondo è un'imboccatura ottenuta ritagliando le lastre di copertura. Cisterna "a bagnarola" con copertura di lastre disposte a spioventi All'interno di uno dei serbatoi è stato ritrovato un vaso a cestello databile all’VIII o ai primi decenni del VII a.C. che, insieme ad altri
La presenza di fonti d’acqua è stata da sempre uno dei fattori indispensabili per la nascita e lo sviluppo degli insediamenti umani. L’acqua è anche via di comunicazione e di navigazione, oltreché elemento sacro al centro di diversi culti. Durante la vita millenaria della città di Tharros sono stati utilizzati diversi sistemi
La Basilica di Santa Giusta è uno degli edifici religiosi più caratteristici del periodo romanico in Sardegna. Dalla cima di una piccola altura, la basilica svetta imponente sul paesaggio urbano circostante, all'ingresso del Comune di Santa Giusta, vicino a Oristano. L'edificio si compone di un'ampia aula e di una cripta sottostante, che potremo visitare insieme domenica 14 maggio, in occasione dei festeggiamenti della Santa Patrona. La Basilica di Santa Giusta Fu costruita probabilmente nel XII secolo, sui resti di una precedente struttura nuragica visibile fino all'Ottocento. Venne realizzata in blocchi di arenaria di medie dimensioni provenienti dal Sinis, ma non mancano elementi di reimpiego. I più evidenti sono le colonne e i rispettivi capitelli che dividono l'aula in tre navate. Del progetto originario, realizzato con ogni probabilità da un architetto pisano, non facevano parte né le cappelle con la sacrestia né il campanile costruito nel 1908. L'interno è illuminato da finestre monofore, mentre all'esterno si osservano elementi verticali (lesene) sormontati da archetti. Sulla facciata, dove si apre una finestra trifora, vi sono due leoni, un maschio e una femmina, che tengono tra le zampe dei cervi. Infine, nella parte posteriore l'abside è divisa da semicolonne, sul modello della cattedrale di Santa Maria a Pisa. La cripta della Basilica di Santa Giusta Vi si accede da una porta collocata sul lato destro del presbiterio, sotto l'altare maggiore. Una volta scesi i pochi gradini si entra in una sala rettangolare, coperta con volte a crociera e sostenute da colonne. La cripta della Basilica di Santa Giusta è l'unica del periodo romanico in Sardegna ad essere interamente costruita in muratura. Vi sono attualmente custodite le reliquie delle sante Giusta, Giustina ed Enedina. Secondo la tradizione, le tre giovani, vergini e di nobile famiglia, erano originarie di Eaden (nome del centro di Santa Giusta in età romana). Si convertirono al Cristianesimo all'epoca dell'imperatore Adriano (II
La Basilica di Santa Giusta è uno degli edifici religiosi più caratteristici del periodo romanico in Sardegna. Dalla cima di una piccola altura, la basilica svetta imponente sul paesaggio urbano circostante, all’ingresso del Comune di Santa Giusta, vicino a Oristano. L’edificio si compone di un’ampia aula e di una cripta sottostante, che potremo visitare insieme domenica
Chissà come si presentava agli occhi dei primi studiosi l'area ai piedi della torre spagnola di San Giovanni quando, a partire dal 1800, cominciarono i primi scavi sistematici di Tharros. Dopo circa 2 secoli di lavori, il sito oggi appare composto da decine di strutture che potremo visitare insieme. Le indagini del XIX secolo Le prime indagini hanno visto la partecipazione di diverse figure: da scalpellini a medici, da prelati a ingegneri, passando per militari, avvocati e magistrati. Fin dal XIX secolo, i reperti provenienti dalle necropoli di Tharros sono stati contesi tra collezionisti e centri museali italiani ed europei. Gli scavi delle tombe puniche e romane (1838 e 1842) realizzate dal Re Carlo Alberto, per esempio, hanno portato alla luce reperti attualmente conservati a Torino. Invece le indagini fatte da Lord Vernon su una ventina di ipogei punici (tombe scavate nel sottosuolo), andarono ad arricchire di manufatti soprattutto il British Museum di Londra. Pochi anni dopo furono intrapresi i primi scavi sistematici di Tharros, ad opera dei funzionari del Museo di Cagliari (1844) e del canonico Spano (1850). Questo non impedì ad alcune persone del luogo di operare un grande saccheggio, datato al 1852, che portò alla dispersione del materiale ritrovato in collezioni pubbliche e private. I reperti raggiunsero così il Louvre di Parigi, il British Museum, Berlino e Copenaghen. Gli scavi archeologici nell'abitato Negli anni tra la fine della prima guerra mondiale e la seconda (1926-1932), furono condotte delle ricerche da parte dell'ingegnere Edoardo Busachi sul rifornimento idrico di Tharros nel periodo romano. Ma fu con Gennaro Pesce, allora Soprintendente alle Antichità di Cagliari, che furono avviati gli scavi che riportarono alla luce gran parte dell'area di Tharros oggi accessibile al pubblico. Dal 1956 al 1963 fu scavata la parte dell’abitato che si pone a destra della torre di San Giovanni e la zona del tofet nell'area di Murru
Chissà come si presentava agli occhi dei primi studiosi l’area ai piedi della torre spagnola di San Giovanni quando, a partire dal 1800, cominciarono i primi scavi sistematici di Tharros. Dopo circa 2 secoli di lavori, il sito oggi appare composto da decine di strutture che potremo visitare insieme. Le indagini del
Intorno al IX secolo a.C. il Mediterraneo era già interessato da intensi scambi commerciali. Tra i protagonisti vi erano le popolazioni che provenivano da alcune città-stato dell'attuale Libano: i Fenici. La presenza dei Fenici a Tharros è attestata da alcuni importanti ritrovamenti. Non molti in realtà, ma di sicuro di grande interesse. Ci riferiamo soprattutto al tofet, santuario a cielo aperto, la cui area avremo modo di visitare insieme. Sorto sui resti delle capanne nuragiche della collina di Su Murru Mannu, il santuario ospitava circa 4000 pentole contenenti i corpi dei defunti cremati, e il loro corredo. Allo stesso periodo, intorno al 650/625 a.C., appartengono anche le prime sepolture delle due aree cimiteriali fenicio-puniche messe in luce a Torre Vecchia (a sud) e a Santu Marcu-San Giovanni di Sinis (a nord). I Fenici nella Penisola del Sinis Ma alcuni ritrovamenti fatti in diversi punti della Penisola del Sinis lasciano supporre che le relazioni tra le popolazioni nuragiche e i fenici siano iniziate ancora prima rispetto alla datazione delle necropoli. La natura dei contatti e la collocazione dei primi insediamenti fenici sono ancora al vaglio degli studiosi. Di certo sappiamo che i mercanti semiti trovarono nel Sinis un ambiente a loro congeniale: una penisola affacciata su due mari (uno aperto "biu", e uno più riparato "mortu") con possibili punti di approdo su entrambi i lati. I più importanti centri fenici nel Mediterraneo Esempi di centri fenici costruiti su penisole, isolotti o comunque zone caratterizzate da punti di facile attracco sono presenti in tutto il Mediterraneo. Non possiamo non citare Sulky a Sant'Antioco, Bithia a Chia, Nora a Pula (in Sardegna), Mozia a Marsala (Sicilia), Cartagine a Tunisi (Tunisia) e Cadice (Spagna). Si tratta di modelli insediativi, ovvero probabili consuetudini abitative che ritroviamo anche nel loro principale territorio di provenienza, l'attuale Libano, in particolare a Tiro. Volete saperne di più sui Fenici
Intorno al IX secolo a.C. il Mediterraneo era già interessato da intensi scambi commerciali. Tra i protagonisti vi erano le popolazioni che provenivano da alcune città-stato dell’attuale Libano: i Fenici. La presenza dei Fenici a Tharros è attestata da alcuni importanti ritrovamenti. Non molti in realtà, ma di sicuro di
Uno degli aspetti meno conosciuti dell'attuale sito di Tharros, e che approfondiremo nella nostra prossima visita guidata, è certamente quello risalente al periodo nuragico con il sito di Murru Mannu. Millenni fa infatti, prima dell'arrivo dei fenici e dei romani, nel punto più alto dell'attuale area archeologica svettava un nuraghe circondato da un villaggio e protetto da un'imponente muraglia che dà il nome alla zona di "Murru Mannu". Il nuraghe, il villaggio e la muraglia di Murru Mannu I resti delle imponenti costruzioni sono visitabili risalendo il promontorio solcato dal "Cardo Maximus" poco dopo la biglietteria, sulla sinistra. Arrivati in cima è possibile individuare le capanne e la grande muraglia, rimaneggiata e sfruttata successivamente da altre popolazioni, ma le cui origini risalgono all'età del bronzo medio (XIV a.C. circa). Murru Mannu gode di una vista strategica sul golfo di Oristano e su tutta la penisola del Sinis. Ora sappiamo che in in quel periodo, soprattutto dal XIII a.C., la zona compresa fra le pendici di Montiferru e l'isola di Mal di Ventre era intensamente popolata da nuraghi, oltre 100 per la precisione con una densità di almeno 2 per km2. I principali siti nuragici nelle vicinanze Un sito probabilmente contemporaneo all'area di Murru Mannu è quello di Sa Osa, nella parte più a est del golfo, conosciuto per i resti di vari semi (vernaccia, melone, prugnolo) e di fauna. Tutto materiale che sta aiutando gli archeologi a capire meglio da cosa era composta l'alimentazione in epoca nuragica. A circa 10km inoltre sorge la necropoli di Mont'e Prama, vicina allo stagno di Cabras, e sull’unica via naturale di collegamento alle saline di Capo Mannu e ai giacimenti metalliferi di Montiferru. Volete saperne di più sui Nuragici e Tharros? Iscrivetevi alla nostra prossima visita guidata!
Uno degli aspetti meno conosciuti dell’attuale sito di Tharros, e che approfondiremo nella nostra prossima visita guidata, è certamente quello risalente al periodo nuragico con il sito di Murru Mannu. Millenni fa infatti, prima dell’arrivo dei fenici e dei romani, nel punto più alto dell’attuale area archeologica svettava un nuraghe