Conoscete la storia di Cuccuru is Arrius? È con questo particolare sito archeologico che inauguriamo una serie di sei articoli dedicati al Sinis di Cabras. Nelle prossime settimane descriveremo siti e monumenti poco conosciuti e percorreremo un viaggio dal Neolitico sino al periodo paleocristiano.
Una panoramica sul Sinis
Per chi non lo ha mai visitato, il Sinis è una regione geografica localizzata nell’area centro occidentale della Sardegna (più o meno quella che ruota intorno allo stagno di Cabras) e termina sul mare con una piccola e stretta penisola. Quando avrete il piacere di esplorarlo, sarete sicuramente affascinati dai suoi profumi inconfondibili di macchia mediterranea e dai suoi molteplici paesaggi. Infatti, dal punto di vista morfologico, si caratterizza per una grande varietà di ambienti. Sono presenti piccole colline, altopiani basaltici, spiagge per la maggior parte sabbiose, promontori a picco sul mare e zone lagunari, come lo stagno di Cabras e quello di Mistras. Questa molteplicità ha favorito fin dal Neolitico Medio (V millennio a.C.) l’insediamento dell’uomo. In quel periodo, le zone privilegiate per l’abitazione erano senza dubbio le zone lagunari, come testimoniato da uno dei siti più antichi sorti in quest’area: il villaggio di Cuccuru is Arrius.
Localizzazione di Cuccuru is Arrius e storia degli scavi e degli studi
Il sito di Cuccuru is Arrius si localizzava lungo la sponda sud-orientale dello stagno di Cabras. Il nome, che letteralmente significa “cucuzzolo tra i fiumiciattoli”, deriva dalla presenza in origine di una collinetta d’arenaria, oggi non più visibile a causa della presenza del canale scolmatore, realizzato alla fine degli anni Settanta per congiungere lo stagno al golfo di Oristano. Questo intervento, voluto per migliorare la pescosità della laguna, determinò purtroppo la perdita quasi totale dell’area abitata.
Cuccuru is Arrius (o Cuccuru s’Arriu) è noto in letteratura sin dalla fine dell’Ottocento, quando Tito Zanardelli, in seguito ad una ricognizione di superficie, prelevò 1796 reperti, per lo più in ossidiana, e li donò al Museo Etnografico Luigi Pigorini a Roma, dove sono ancora conservati.
L’area è stata poi oggetto di altre indagini condotte da Enrico Atzeni negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso e, poi, tra il 1976 ed il 1980 dalla Soprintendenza archeologica di Cagliari e Oristano, in collaborazione con l’Università di Cagliari e sotto la direzione di Vincenzo Santoni. Questi ultimi interventi furono realizzati parallelamente alla creazione del canale e furono essenziali per raccogliere le importanti testimonianze archeologiche, che altrimenti sarebbero andate perdute.
Gli scavi permisero il rinvenimento di un’area frequentata dal Neolitico Medio I (cultura di Bonu Ighinu, 4800-4300 a.C.) sino all’età romano imperiale (I-III secolo d.C.), con una fase di abbandono tra il III-II millennio a.C. Per quanto riguarda la fase neolitica si ricordano una necropoli ed un villaggio. Al nuragico invece risale ad esempio un tempio a pozzo, collocato in un’area sacra frequentata anche in età punica e romana.
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La necropoli di Cuccuru is Arrius
La necropoli, parzialmente rinvenuta tra il 1978-1979, era caratterizzata da diciannove tombe ipogeiche: tredici del tipo a grotticella ipogeica, riferite al Neolitico Medio I e altre sei a semplice fossa terragna forse più tarde ed attribuite al Neolitico Medio II (cultura di San Ciriaco, 4300-4000 a.C.).
Le tombe a grotticella presentavano tutte la stessa planimetria: un unico vano funerario di forma ovale, simile ad un forno ed accessibile mediante un piccolo pozzo verticale.
Sul pavimento della camera, il quale veniva rivestito con lastre litiche irregolari, veniva deposto un unico defunto in posizione fetale, ornato con collane composte da conchiglie come il dentalium, corallo e vaghi di clorite. Intorno al corpo si disponeva il ricco corredo funerario composto da vasi in ceramica, punte di zagaglia in osso, piccoli strumenti trapezoidali in ossidiana.
Tra i materiali, di particolare importanza erano le statuette in calcare o in arenaria, realizzate con forme volumetriche, alcune delle quali finemente decorate e ricche di particolari. Infine, sia i resti scheletrici, sia gli oggetti di corredo erano stati cosparsi di uno strato di ocra rossa. Si è osservato che la disposizione ordinata del corredo intorno all’inumato e la posizione della statuetta, che nel caso della tomba 387 era nella mano destra del defunto, potrebbe rispondere forse ad uno specifico rituale funebre riferito al perpetuarsi della vita dopo la morte.
Queste tombe rappresentano senza dubbio un contesto funerario eccezionale per la Sardegna neolitica, in quanto sono i primi esempi di sepolture ipogeiche del tipo a grotticella artificiale, scavate nel banco roccioso prima delle domus de janas.
L’abitato
L’abitato ha restituito un insediamento continuo dal Neolitico Medio II all’Eneolitico iniziale (cultura sub-Ozieri, 3500-III millennio a.C.). Le testimonianze erano date da strutture infossate nel terreno di varia forma, documentate ricolme di depositi grigio nerastri frammisti a ceramiche, materiali litici e resti di pasto, come molluschi e ossa animali.
Queste rimanenze, datate per lo più al Neolitico Recente (cultura di Ozieri, 4000-3500 a.C.) sono state interpretate come fondi di capanne, discariche di rifiuti e in, certi casi, come siloi per la conservazione delle derrate alimentari. Alcune fosse sono state datate ad un periodo più recente ossia all’Eneolitico iniziale, le quali erano più articolate, in quanto al loro interno presentano ulteriori fossette emisferiche e cilindriche.
Durante gli scavi degli anni Settanta, gli archeologi hanno potuto documentare una molteplicità di materiali, oggi in parte esposti e custoditi nel Museo Giovanni Marongiu di Cabras. Tra le ceramiche sono stati distinti alcuni vasi attribuiti alla cultura San Ciriaco (Neolitico Medio II), caratterizzati da impasti ben depurati, superfici levigate e lucidate e assenza di decorazioni. Dagli strati di cultura Ozieri (Neolitico Recente) sono stati prelevati ulteriori vasi in ceramica, differenti dalle ceramiche San Ciriaco sia per quanto riguarda le forme, sia soprattutto per la varietà dei repertori decorativi. Le tecniche più utilizzate per ornare i vasi erano l’incisione e l’impressione. Il repertorio prevede festoni concentrici di punti impressi; bande incise sia lisce che tratteggiate con movimento rettilineo, curvilineo a zig-zag, a spirale.
Inoltre, sul fondo di alcune spiane e tegami sono state osservate le impronte di stuoie, sulle quali in origine i vasi erano stati fatti essiccare. Questo documenta indirettamente il lavoro di intreccio di fibre vegetali presso gli abitanti di Cuccuru is Arrius.
In associazione ai vasi, sono stati trovati anche numerosi utensili in ossidiana e in numero minore in selce. I reperti in ossidiana, prelevata dai giacimenti del Monte Arci, erano soprattutto lame, grattaoi, rachiatoi, punte di freccia ed erano utilizzati per tagliare, raschiare, lisciare e perforare altre materie.
Infine, si ricorda il rinvenimento di statuette femminili e, in minor numero, maschili di cultura Ozieri e sub-Ozieri, prodotte sia in marmo bianco, che in ceramica. Gli esemplari marmorei sono in genere appiattiti e stilizzati, riferiti ad uno stile detto planare. Invece, quelli fittili presentano uno schema cruciforme. Questo tipo di materiali con queste caratteristiche sono noti anche nel vicino abitato di Conca Illonis, sempre localizzato sulle sponde dello stagno; mentre in altre parti del Sinis, ma più in generale della Sardegna, sono state documentate soprattutto nei contesti funerari delle domus de janas.
Per approfondire:
AMORE MARIO 2014, La collezione archeologica da Cuccuru is Arrius nel museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”, in Quaderni 24/2014, Soprintendenza Archeologica per le province di Cagliari e Oristano, pp. 1-32.
DEL VAIS CARLA, SEBIS SALVATORE (a cura di) 2015, Cuccuru is Arrius, in Il Museo Civico “Giovanni Marongiu” di Cabras, Sardegna Archeologica. Guide ed itinerari, Carlo Delfino editore, Sassari 2015, pp. 8-20.
LUGLIÈ CARLO 1995, La ceramica di cultura Ozieri nell’Oristanese, in La ceramica racconta la storia. Atti del Convegno “La ceramica artistica, d’uso e da costruzione nell’Oristanese dal Neolitico ai giorni nostri”, Oristano 1995, pp. 19-43.
MORAVETTI ALBERTO 2017, Ceramiche decorate della cultura di Ozieri, in La Sardegna preistorica. Storia, materiali, monumenti, Carlo Delfino editore, Sassari 2017, pp. 65-82.
SANTONI VINCENZO 1995, Il neolitico medio di Cuccuru S’Arriu di Cabras (Or). Nota preliminare, in La ceramica racconta la storia. Atti del Convegno “La ceramica artistica, d’uso e da costruzione nell’Oristanese dal Neolitico ai giorni nostri”, S’Alvure, Oristano 1995, pp. 7-18.
Sito del Museo di Cabras: Cuccuru is Arrius
Sito del Museo di Cagliari: “Dea Madre” da Cuccuru s’Arriu (Cabras)
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