All’ipogeo della Chiesa di San Salvatore di Sinis, nell’omonima borgata, si accede scendendo una stretta scalinata. Il santuario è noto in letteratura fin dal XVII secolo, quando fu citato come cappella o chiesa sotterranea nelle opere di due religiosi, padre Vidal e padre Aleu. Con la nostra visita guidata potremo esplorare il sito, ricostruendo la lunga frequentazione dell’ipogeo e il culto che vi venne praticato nel corso dei secoli. Il tutto testimoniato dai resti archeologici e le numerose immagini e iscrizioni ancora presenti sulle sue pareti.
La struttura dell’ipogeo della chiesa di San Salvatore di Sinis
Il santuario è considerato un tempio ipogeico pagano, la cui ultima fase è datata al IV secolo d.C. Fu realizzato attorno a un antico pozzo d’acqua, ritenuta salutifera fin dall’età nuragica. Nel XVII secolo, al di sopra dell’ipogeo, fu costruita l’attuale chiesa di San Salvatore.
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L’ingresso attuale del santuario risale infatti al 1600. In quell’occasione furono realizzati i primi 10 scalini che permettono tutt’oggi di scendere nell’ipogeo. L’edificio cultuale venne ottenuto scavando lo strato geologico, composto da arenaria. Ma la maggior parte delle pareti furono innalzate intorno al IV secolo d.C. con filari alternati di blocchetti di arenaria e mattoni, una tecnica che risale dunque alla fase tardo-romana del santuario.
All’interno dell’ipogeo
La corta discesa all’interno dell’ipogeo conduce all’antico corridoio con volta a botte, in cui si apriva un pozzetto d’areazione. Ai lati vi sono due ambienti rettangolari identici (I e V), ma in quello di sinistra (I) si trova un altare forse risalente al periodo cristiano di utilizzo dell’ipogeo. In particolare nel vano V, all’interno di un pozzetto, è stato rinvenuto del materiale di epoca nuragica. Continuando a percorrere il corridoio si arriva ad un vano circolare con al centro un pozzo dotato di puteale (parapetto), di forma quadrangolare. L’acqua del pozzo doveva costituire il punto focale del culto salutifero praticato in antichità nel santuario.
Da questo ambiente si accede a tre sale: due laterali (II e IV), di forma rettangolare e con abside sul fondo; una frontale (III) di andamento semicircolare. In quest’ultima è interessante sia l’altare, probabilmente contemporaneo a quello citato prima, che il pozzetto circolare aperto nel pavimento. Qui è stato rinvenuto un modestissimo betilo, pietra lavorata il cui nome significa “casa del dio”. È presente anche un grosso bacile, riutilizzato per l’acqua santa. Un’iscrizione araba e la rappresentazione di un’imbarcazione testimoniano una frequentazione dell’ipogeo, in modo apparentemente sporadico, tra il XVI e il XVII secolo. Agli inizi del 1800 e 1900 rimandano invece alcune iscrizioni graffiate ritrovate nell’atrio circolare. L’acqua del pozzo infatti fu attinta fino a poco tempo fa, in quanto era considerata dai fedeli medicamentosa.
Interpretazione dell’ipogeo
L’interpretazione del culto originario praticato nel santuario è resa difficile dalla lunga frequentazione. Sulle pareti infatti le immagini e le iscrizioni si sovrappongono, spesso senza un apparente ordine.
Già Doro Levi (1949) proponeva che si trattasse di un santuario pagano dedicato a Eracle Sotèr (Salvatore), incentrato sul culto delle acque, risalente all’età dioclezianea o costantiniana (fine III secolo d.C. – inizi IV secolo d.C.).
Gli scavi archeologici diretti da Prof. Ferruccio Barreca, tra il 1973 e il 1977, hanno chiarito alcuni punti:
- si tratta di un luogo di culto;
- il primo uso come area sacra risale all’età nuragica, continuato poi nei periodi punico e romano;
- il santuario fu ristrutturato in epoca costantiniana (IV d.C.) come indicano in particolare lo stile delle pitture ufficiali e il tipo dei caratteri usati nell’iscrizione latina monumentale;
- le divinità a cui era dedicato il santuario erano Marte e Venere.
Principali raffigurazioni e iscrizioni dell’ipogeo
Le raffigurazioni che rimandano alle divinità a cui era dedicato il culto, Venere e Marte, le troviamo nel vano IV, nella parete dell’abside. Al centro, circondata da altri personaggi, si distingue chiaramente la coppia divina sia per alcuni dettagli della rappresentazione, che per il nome ben conservato. Probabilmente della fase costantiniana dell’ipogeo è anche l’immagine di Ercole che strozza il leone Nemeo, visibile nella stessa sala.
Numerose sono le pitture di animali, dalle pantere ai cani, dai cavalli in corsa a due esemplari alati (forse Pegaso) e un solo pesce. Diverse raffigurazioni rimandano alle corse nel circo e agli aurighi, ma il tema sicuramente più ricorrente è quello delle imbarcazioni. Le navi isolate, spesso identificabili con tipi romani, potrebbero essere ex voto di marinai (Donati, Zucca 1992: 40). Tra queste si distingue un vero e proprio bastimento a 3 alberi, che per le sue caratteristiche si riferisce a un’imbarcazione del XVI-XVII secolo. Contemporaneo a questa nave appare anche il lungo testo arabo visibile nel vano III.
Le iscrizioni prevalenti però sono quelle in lingua latina, scritte con l’alfabeto corsivo e databili fra il IV ed il V secolo d.C. Un monogramma ricorre in tutto l’ipogeo. È costituito dalle lettere RVF e secondo l’interpretazione più accreditata deriverebbe da un’espressione semitica a cui va attribuito il valore di “guarire, salvare, dare salute”.
Infine, nel vano V è ancora leggibile un intero alfabetario greco distribuito su 4 linee, in colonne verticali (Donati, Zucca 1992: 33).
Se vi è piaciuto l’articolo e volete approfondire le informazioni sull’ipogeo di San Salvatore, vi aspettiamo alla nostra prossima visita guidata!
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