“Alla scoperta della salute e del benessere nell’età romana” è il titolo di una speciale mostra temporanea curata ed allestita grazie alla collaborazione con l’Associazione Sardinia Romana, la quale si è occupata, dopo un attento studio, di riprodurre fedelmente gli utensili usati dai medici romani.
L’esposizione è attualmente ospitata all’interno del MuMe – Museo del Meilogu Medievale di Bessude, che la nostra Associazione ha in gestione dal Settembre 2023, e permette di immergersi in un ambulatorio medico e nell’ambientazione degli antichi stabilimenti termali. Tra i contesti archeologici cha hanno restituito il maggior numero di questo tipo di strumenti ci sono Pompei, Ercolano (I secolo d.C.), ma soprattutto la domus del chirurgo di Rimini (II-III secolo d.C.), dove è stato rinvenuto un armamentario completo di circa 150 utensili appartenuti a Eutyches, il medico che qui vi dimorava.
Alle origini della medicina nell’antica Roma
Le vere e proprie pratiche mediche arrivarono a Roma grazie ai contatti con il mondo greco e soprattutto a seguito della sua conquista.
Il primo medico menzionato dalle fonti è Acargato, che arrivò nell’Urbe intorno al 219 a.C. Egli fu così apprezzato per le sue mansioni che il Senato non solo gli concesse la cittadinanza romana, ma gli permise di avere una sua taberna medica, ossia un suo ambulatorio in cui visitare e curare i pazienti.
Roma inoltre ospitò importantissimi trattatisti, tra cui il fondatore della botanica farmaceutica, Dioscuride Pedànio (I secolo d.C.), che pubblicò De materia medica; Sorano di Efeso (prima metà del II secolo d.C.), medico ellenista, che pubblicò Gynaecia, un trattato di ginecologia, e soprattutto Aulo Cornelio Celso (14 a.C.-37 d.C.) con la sua opera De Medicina: una sorta di enciclopedia medica.
Il medico più importante dell’età romana, che lasciò una traccia importantissima nella cultura occidentale, fu Galéno (129 d.C.-200 d.C.). Egli intuì l’importanza fondamentale degli organi, di alcuni anche la funzione, e, basandosi sulle piante medicinali, introdusse i primi anestetici quali la corteccia di salice e il laudano (tintura di oppio). Tali sostanze, però, erano spesso troppo costose e più comunemente veniva utilizzato il vino puro.
La figura del medico nell’antica Roma
Sino al I/II secolo d.C. il mestiere del medico era considerato come qualcosa di disdicevole per un cittadino di Roma. Infatti i medici appartenevano agli strati più bassi della società e molto spesso erano liberti, cioè schiavi affrancati. Come avveniva la loro formazione? Naturalmente non esistevano le università e si poteva diventare medico anche semplicemente frequentando per un breve periodo di tempo un professionista più anziano, oppure si potevano frequentare le grandi scuole orientali come quelle di Pergamo, Alessandria, Efeso che sicuramente fornivano delle nozioni più dettagliate e meno empiriche.
Normalmente i medici esercitavano la loro professione negli ospedali pubblici o da campo (veletudinaria) o all’interno delle loro tabernae medicae, ossia i loro ambulatori. Queste ultime sono spesso strutture semplici che non si differenziano molto da altre botteghe presenti nel foro e sono riconoscibili solo grazie al rinvenimento di strumenti medici.
Tali ferri del mestiere sono ampiamente documentati non solo grazie alle descrizioni degli autori classici, ma anche dalle fonti archeologiche ed epigrafiche.
Tra tutti i contesti quello che ha documentato il maggior numero di questi oggetti è sicuramente la domus del chirurgo di Rimini. L’area archeologica fu scoperta nel 1989, a seguito di lavori di risistemazione della piazza Luigi Ferrari. La casa datata al II secolo d.C. ospitò il medico Eutyches, originario della Galazia in Asia Minore, che qui vi dimorò nel corso del III secolo d.C. Di notevole importanza, oltre i mosaici e gli altri reperti rinvenuti, sono i circa 150 strumenti medici in ferro e bronzo che finora costituiscono il corredo chirurgico di età romana più completo.
Tra le stanze più importanti della casa vi è quella denominata di Orfeo, dove è rappresentato al centro di un mosaico ad esagoni. Questa doveva essere la stanza di accoglienza e di cure del chirurgo. È qui infatti che è stato trovato il maggior numero del suo corredo medico. A lato di questa stanza, vi era una camera da letto (cubiculum). Tale complesso è stato interpretato come una taberna medica domestica.
Grazie allo studio di queste suppellettili si è compreso che i medici dell’antica Roma erano divisi in tre categorie: il medicus, ossia il medico generico che effettuava operazioni di routine; il chirurgus, come Eutyches, molto esperto e che sapeva affrontare anche le operazioni più complesse e infine gli specialisti in determinate patologie o su un organo.
In merito conosciamo: l’ocularius (oculista) e l’auricularius (l’otorinolaringoiatra). Sicuramente uno specialista molto attivo era proprio l’oculista, cosa che fa ipotizzare una grande diffusione di patologie legate agli occhi come documentato dal ritrovamento di un gran numero (circa 300) di oggetti detti “pestelli dell’oculista” provenienti da varie località dell’impero. Si tratta di piccole piastre di pietra, di circa 5 centimetri di lato, su cui era iscritto il nome del medico e il principio attivo della medicina con le relative indicazioni. Il pestello veniva adoperato come un mortaio per realizzare unguenti particolari a base di erbe che venivano essiccati ed usati come colliri.
Una professione aperta alle donne: la donna medico
Sul piano della medicina non v’era alcuna discriminazione e anche le donne potevano esercitare come medico. In tal senso, grazie all’analisi delle fonti scritte, sappiamo che c’erano almeno tre figure distinte: medicae, obstetrices e iatromae. Non è del tutto chiaro quale fosse la loro precisa area di competenza ed è possibile supporre che i termini indicano solamente un grado di preparazione differente tra le tre figure. Generalmente, il medico donna si occupava di curare i mali legati alla salute ginecologica, ma non è da escludere che si occupassero anche di altre patologie.
Grazie agli studi epigrafici condotti sulle iscrizioni funerarie, a oggi conosciamo i nomi di 32 obsterices. Esse provenivano per la maggior parte da Roma, ma non mancano anche le straniere originarie dell’Africa Proconsularis, della Dalmatia, della Gallia Norbonense e della Belgica. Analizzando la condizione giuridica di queste obstetrices si può apprezzare come alcune di esse, al momento della morte, fossero ancora schiave e altre, invece, avevano conquistato la loro libertà.
Degna di nota è l’iscrizione funebre commissionata da Scribonia Attice per sé, per il marito Marcus Ulpius Amerimnus, per la madre, Scribonia Callityche, e per Diocles. Si tratta di una lastra marmorea rinvenuta ad Ostia e datata tra il 117 d.C. e il 161 d.C. La professione di Scribonia e del marito si evince da due rilievi in terracotta che rappresentano uno una scena di parto e l’altro un’operazione chirurgica condotta da un medico.
I Veletudinaria militaris: gli ospedali da campo
Nel I secolo a.C., grazie all’intervento del medico di corte Antonio Musa e a seguito della riforma dell’esercito, Augusto istituì i veletudinaria militaris dei veri e propri ospedali da campo, atti ad ospitare i legionari feriti o ammalati. Queste strutture sono presenti in tutte le fortezze legionarie, le fortezze ausiliarie e lungo i confini romani. Si tratta di edifici di forma rettangolare e di grandi dimensioni, dotati di un cortile centrale.
Lungo i quattro lati erano posizionate le corsie formate da una serie di stanze, dove venivano ricoverati i legionari, disposte sia lungo il perimetro esterno che interno ed intervallate da un lungo corridoio. Alcune di queste erano utilizzate anche dal personale medico ed erano dotate di ampie finestre per facilitare il ricambio dell’aria. Vi erano inoltre palestre per agevolare il recupero fisico dei ricoverati.
Per approfondire:
Cacciapuoti G. 2016, La figura delle obstetrices nella documentazione epigrafica: indagine preliminare, in Ager Veleias, pp. 1-37.
De Carolis S. et alii 2019, Alle origini dell’otorinolaringoiatria: gli strumenti chirurgici della domus del chirurgo di Rimini, in Atti delle giornate di Museologia medica, Varese, pp. 47-50.
Di Gerio M. 2014, Studio sugli strumenti chirurgici del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in Rivista di Studi Pompeiani, 25, pp. 93-110.
De Vecchis B. 1941, La odontoiatria e la protesi dentaria ai tempi dell’Impero romano, in Quaderni dell’impero. La scienza e la tecnica ai tempi di Roma imperiale, XVI, Roma.
Langella A. 2014, Lo strumentario medico della casa del chirurgo, Vesuvioweb.
Mazzini I, 1997, La medicina dei Greci e dei Romani, Vol. 1, Roma
Mazzini I, 1997, La medicina dei Greci e dei Romani, Vol. 2, Roma
Moscetti E. 2016, Una collezione di strumenti chirurgici romani nel Museo archeologico di Monterotondo, in Annali Nomentani, pp. 111-116.
Scalinci N. 1940, La oftalmiatria di Aulo Cornelio Celso, in Quaderni dell’impero. La scienza e la tecnica ai tempi di Roma imperiale, V, Roma.
Tabanelli M. 1958, Lo strumentario chirurgico e la sua storia dalle epoche greca e romana al secolo decimosestro, Forlì.
Taliericio A. 1942, L’ostetricia ai tempi dell’Impero romano, in Quaderni dell’impero. La scienza e la tecnica ai tempi di Roma imperiale, XVII, Roma.
Comments