La presenza di fonti d’acqua è stata da sempre uno dei fattori indispensabili per la nascita e lo sviluppo degli insediamenti umani. L’acqua è anche via di comunicazione e di navigazione, oltreché elemento sacro al centro di diversi culti. Durante la vita millenaria della città di Tharros sono stati utilizzati diversi sistemi di approvvigionamento. Li potremo analizzare durante la nostra visita guidata. Dalle cisterne “a bagnarola” di epoca punica passeremo al sistema romano di distribuzione urbana, basato sulla circolazione continua dell’acqua.
Le cisterne “a bagnarola” di tipo punico
Questo tipo di cisterne è ben documentato nella città di Tharros, documentandosi circa 18 esemplari localizzati soprattutto nell’area del quartiere abitativo. Lungo la pendice orientale del colle di San Giovanni (appena entrati nell’area archeologica sulla destra) sono frequenti, infatti, le cisterne che si caratterizzano per: la forma rettangolare, i lati corti arrotondati, la copertura a spioventi o a piattabanda (lastre disposte orizzontalmente). Presentano spesso un rivestimento idraulico formato da diversi strati di intonaco che ne garantiva l’impermeabilità.
Non mancano alcune cisterne anche nell’area dove furono costruiti edifici sacri e pubblici come il tempio delle semicolonne doriche e l’area delle due colonne. Una delle cisterne meglio conservate poteva contenere circa 72 m3 d’acqua piovana. Era rifornita da due canalette provenienti rispettivamente da Nord e da Ovest. Alcuni di questi sistemi di adduzione sono realizzati con tubi di terracotta ad incastro disposti nei tagli artificiali del banco roccioso o nelle murature degli edifici. Per poter attingere l’acqua, sono stati documentati due sistemi differenti: il primo è un pozzetto laterale, il secondo è un’imboccatura ottenuta ritagliando le lastre di copertura.
All’interno di uno dei serbatoi è stato ritrovato un vaso a cestello databile all’VIII o ai primi decenni del VII a.C. che, insieme ad altri resti, documenterebbe “la persistenza di un insediamento indigeno, eventualmente policentrico, in Tharros” (Bernardini, Spanu e Zucca 2014: 2).
L’acquedotto
Dall’epoca romano-imperiale (forse dal III d.C.) la città di Tharros viene dotata di un acquedotto e del relativo castellum aquae. I resti del primo sono visibili sia lungo la strada che porta all’ingresso dell’area archeologica, sulla sinistra, che lungo il pendio scende verso la spiaggia. Il tratto di canalizzazione superstite è realizzato in opera mista (un filare di tufelli alternato a uno in laterizio). Era probabilmente alimentato da un pozzo visibile a poca distanza verso Nord. L’acqua attinta dal pozzo veniva issata a circa 16 metri di altezza da una noria. Una grande ruota idraulica, che la depositava nel canale dove scorreva l’acqua (lo specum).
Il castellum aquae
Invece, la struttura interpretata come castellum aquae si trova all’interno dell’area archeologica, all’incrocio tra i due principali assi viari romani: il cardo e il decumano. La cisterna di distribuzione è realizzata in opera mista (due filari di blocchetti in arenaria e due di mattoni) per un’altezza residua di 3 metri. L’edificio ha pianta rettangolare, diviso all’interno in 3 navate sorrette da pilastri. Sul davanti doveva esserci la fontana di cui rimane la base semicircolare in blocchi in arenaria, pavimento in laterizi e intonaco idraulico.
L’insieme di queste strutture dovevano garantire l’approvviggionamento idrico della città. Quartieri abitativi, artigianali (in particolare metallurgico sulla collina di Murru Mannu), impianti termali, edifici sacri, erano tutti interessati dal consumo di acqua.
Inoltre un imponente opera di canalizzazione garantiva il deflusso delle acque di scarico, in parte realizzato al di sotto del sistema viario e in parte intagliando il banco roccioso di biocalcarenite su cui sorge la stessa città.
Se l’articolo vi ha incuriosito e volete conoscere altri dettagli sulla storia della città di Tharros iscrivetevi alla nostra prossima visita guidata!
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