Grotta della Vipera e Basilica di San Saturnino: due gioielli archeologici della Cagliari antica

Nei secoli i culti e i riti funerari nelle società antiche di Cagliari hanno subito diversi cambiamenti. Questo è stato il filo conduttore durante la passeggiata mattutina del 7 Gennaio. Per l’occasione abbiamo visitato la necropoli di Tuvixeddu, la Grotta della Vipera e l’area archeologica di San Saturnino. Un viaggio che ci ha portato a conoscere e comprendere l’evoluzione di una città e il mutare dei suoi culti nel corso del tempo.

Foto con il gruppo di soci in visita al parco di Tuvixeddu, Cagliari (fonte: Mare Calmo).

Su Tuvixeddu, la necropoli occidentale di Cagliari, abbiamo già scritto un articolo, che vi invitiamo a leggere nel nostro blog. Questa volta abbiamo scelto di raccontarvi qualcosa in più sulla Grotta della Vipera e sull’area archeologica di San Saturnino. Buona lettura!

La Grotta della Vipera

La cosiddetta Grotta della Vipera è un mausoleo di età romana, ipoteticamente scavato nella roccia tra il I-II secolo d.C. lungo l’attuale Viale Sant’Avendrace, a Cagliari. All’epoca era la principale via di collegamento della città. Come testimonia ampiamente l’Appia antica a Roma, per i Romani di alto rango era importante farsi costruire la propria tomba, riccamente decorata e con numerose iscrizioni celebrative, lungo le vie di comunicazione. Era una maniera per far conoscere la propria storia illustre a tutti e per preservare, anche in questo modo, la propria memoria.

La Grotta della Vipera, Cagliari (fonte: Mare Calmo)

Grazie alle numerose iscrizioni incise sulla roccia calcarea del sepolcro (in tutto 16: 9 in latino e 7 in greco, di cui 14 sono poesie), sappiamo che si tratta della tomba che Lucio Cassio Filippo dedicò alla moglie Attilia Pomptilla.

Iscrizione poetica dedicata ad Attilia Pomptilla. Pannello esplicativo all’ingresso del sito (fonte: Mare Calmo).

Questa tomba è la testimonianza di una particolare storia d’amore. Dalla lettura delle epigrafi, sappiamo che i due vissero insieme per ben 42 anni e avevano natali illustri, perché appartenuti a famiglie d’alto rango di Roma. Ad un certo punto Lucio Cassio fu esiliato a Cagliari da Nerone e qui si ammalò di malaria. Attilia, per salvare la vita del suo amato, pregò tanto gli dei sinché la ascoltarono e presero la sua vita in cambio di quella di Lucio Cassio. Egli quindi, eternamente riconoscente alla sua sposa, le dedicò una ricca tomba. Oggi il monumento si mostra in maniera molto diversa da quella antica, perché nel corso dell’Ottocento fu sventrato con la dinamite per trarre materiale calcareo per la costruzione della strada Carlo Felice.

Ricostruzione della Grotta della Vipera e del sepolcro di Tito Venio Berillo. Pannello esplicativo all’ingresso del sito (fonte: Mare Calmo).

In origine doveva avere l’aspetto di un piccolo tempio a cui si accedeva tramite una scalinata. Ancora oggi è visibile il frontone dove si possono ammirare diversi rilievi. In particolare, sono ancora visibili due vipere: una a destra e una a sinistra dotata di una piccola barba. Queste, che danno il nome alla tomba, secondo l’interpretazione degli studiosi, potrebbero rappresentare l’unione del vincolo matrimoniale. Al centro vi è un timpano, dove ci sono i rilievi di una patera (una sorta di coppa) ed un urceus (una brocca per le abluzioni), utilizzati nei contesti sacri durante i sacrifici.

Particolare delle decorazioni nel frontone della Grotta della Vipera, Cagliari (fonte: Mare Calmo).

Al di sotto si trova l’architrave con il titulus, la dedica del sepolcro ad Attilia Pomptilla. Tutta la trabeazione poggiava su due colonne e due pilastrini, sormontati da capitelli ionici. Un pronaos, un’anticamera, consentiva di accedere alla camera funeraria che era divisa in due spazi da un pilastro centrale, oggi poco conservato. Lungo le pareti di fondo, si possono vedere numerose nicchie di piccole dimensioni destinate alla deposizione di urne cinerarie. Ci sono anche due arcosoli, cioè spazi più grandi dati da una parte incassata nella parete sormontata da un arco, che dovevano ospitare corpi inumati. Quest’ultimo elemento potrebbe essere indice di un riutilizzo più tardo della tomba. Infatti, durante l’età repubblicana ed alto imperiale, era diffuso nell’Impero Romano il rito dell’incinerazione. I resti dei defunti venivano chiusi dentro urne ceramiche o vitree, che venivano posizionate all’interno dei colombari (camere funerarie caratterizzate dalla presenza di numerose nicchie nelle pareti).

Esempio di colombario. Interno della tomba di Rubellio, Cagliari (fonte: Sardegna Digital Library).

In seguito, nel corso del II d.C., si preferì ritornare all’inumazione dei corpi, probabilmente perché si diffusero nell’Impero sia il cristianesimo, che altri culti di origine orientale. Inoltre, l’arcosolio si diffuse a Cagliari in età tardo imperiale, forse a partire dal III secolo d.C.

Particolare della tomba di Tito Vinio Berillo, Cagliari (fonte: Mare Calmo).

La medesima situazione è stata osservata anche nel contemporaneo sepolcro che sta proprio accanto a quello di Attilia, anch’esso gravemente deturpato. Era di più piccole dimensioni ed era appartenuto alla famiglia di Tito Vinio Berillo, figlio di un liberto, ossia di uno schiavo affrancato. Anche questo è munito di numerose nicchie per le urne, affiancate dalle iscrizioni latine che recano i nomi dei defunti. In origine, il sepolcro era munito di una camera parallelepipeda con ingresso verso Occidente. Secondo la lettura degli epitaffi, Tito Vinio chiamò il suo mausoleo templum Securitas, cioè “tempio alla personificazione della Sicurezza”. Egli, quindi, metteva le sue ceneri e quelle della sua famiglia sotto la sua protezione. Al di sotto delle nicchie, si trova un loculo scavato, appartenuto ad una certa Valeria datato al III secolo d.C.

Il cimitero e la basilica di San Saturnino

Ingresso dell'area archeologica di San Saturnino, Cagliari (fonte: Mare Calmo).
Ingresso dell’area archeologica di San Saturnino, Cagliari (fonte: Mare Calmo).

L’area archeologica di San Saturnino si trova nella zona orientale di Cagliari, che in antico era territorio extraurbano. Perciò era utilizzata come zona funeraria ed era inserita all’interno della vasta necropoli orientale cagliaritana che andava da Viale Regina Margherita sino al colle di Bonaria. Tale spazio fu sfruttato dal periodo punico sino a quello altomedievale (VI a.C.-X d.C.).

Pianta dell’area archeologica di San Saturnino, Cagliari (fonte: Sardinia Virtual Archaeology).

In maniera particolare nel sito di San Saturnino è ancora possibile vedere un lembo della necropoli e, costruita su di essa, la basilica intitolata al santo patrono di Cagliari.

Ricostruzione della necropoli romana di San Saturnino, Cagliari (fonte: Sardinia Virtual Archaeology).

Le tombe più antiche individuate sono datate al periodo romano imperiale e tardoantico (III-V secolo d.C.) e sono di diversi tipi: fosse terragne, sarcofagi interrati, fosse rivestite da laterizi o lastroni calcarei, tombe alla cappuccina e molte altre, tutte destinate ad accogliere inumazioni. Tra questi sono ancora oggi visibili dei mausolei costruiti con laterizi e blocchi calcarei, dove in alcuni si sono conservati dei magnifici mosaici geometrici. All’interno di questi edifici i defunti venivano adagiati dentro sarcofagi o loculi.

Ricostruzione di un mausoleo romano della necropoli di San Saturnino, Cagliari (fonte: Sardinia Virtual Archaeology).

Secondo i racconti agiografici, all’inizio del IV secolo d.C., in questa area trovò sepoltura San Saturnino. Era un giovane cagliaritano di fede cristiana martirizzato per decapitazione sotto Domiziano nel 304 d.C., perché si rifiutò di fare un sacrificio a Giove. Dopo la sua uccisione il corpo sarebbe stato deposto in una cripta, dove poi, in seguito, sorse una piccola basilica dedicata al suo culto. La presenza di tale edificio è testimoniato dal racconto di San Fulgenzio vescovo di Ruspe, che all’inizio del VI secolo d.C. fu esiliato due volte a Cagliari (507-515 e 519-523) dai re vandali, per questioni di credo. Seguendo la storia scritta dal diacono del vescovo africano, Ferrando, evinciamo che Fulgenzio chiese all’episcopo cagliaritano Brumasio un terreno “iuxta basilicam Sancti martyris Saturnini” (vicino alla basilica del Santo martire Saturnino), in cui edificare un monastero, oggi scomparso. Tale fonte è stata poi confermata dalla ricerca archeologica, quando nel 1984 l’archeologa Letizia Pani Ermini, rinvenne nel settore settentrionale dell’area un’abside semicircolare e in quello meridionale altri muri pertinenti ad una basilica più antica.

Abside rinvenuta nell’area archeologica di San Saturnino da Letizia Pani Ermini, Cagliari (fonte: Mare Calmo).

Dunque, il primo edificio ecclesiastico era più modesto, caratterizzato da un’unica aula e orientato nord/sud. Intorno ad esso, secondo un uso consueto in età paleocristiana, si addensarono una serie di tombe di devoti a San Saturnino, con il fine di garantirsi un posto in Paradiso.

Ricostruzione della basilica paleocristiana di San Saturnino, Cagliari (fonte: Sardinia Virtual Archaeology).

Tra questi defunti vi erano anche personaggi eminenti della chiesa cagliaritana, come testimoniato dal sarcofago appartenuto a Bonifacio vescovo di Cagliari tra il VI-VII secolo d.C. e l’iscrizione coeva dell’arcipresbitero Stefano.

Sarcofago di Bonifacio, vescovo di Cagliari (fonte: Sardinia Virtual Archaeology).

La chiesa attualmente visibile è il frutto di numerose ricostruzioni e rimaneggiamenti. Infatti nell’età bizantina, tra il VI-VII secolo d.C., la precedente basilica martiriale fu sostituita da una più grande, con pianta a croce greca, secondo il modello dell’Apostoleion di Costantinopoli, il santuario dei Santi Apostoli, voluto dall’imperatore Giustiniano e consacrato nel 550 d.C. Quindi anche nella chiesa cagliaritana all’incrocio tra i due bracci della croce, s’innesta una grande cupola che poggia su una dado mediante delle scuffie a mezza crociera. Il peso dell’intera struttura architettonica scarica su quattro colonne alveolate in marmo rosso di reimpiego. La costruzione bizantina mutò profondamente il paesaggio dell’area cimiteriale, che come visto continuò ad essere usata, ma molti edifici di età romana vennero smontati per livellare la zona e per trarne materiale da costruzione.

Interno della cupola della basilica di San Saturnino, Cagliari (fonte: Mare Calmo).

Successivamente durante l’età giudicale, per volere di papa Urbano II, il giudice di Cagliari Costantino Salusio II de Lacon Gunale donò la chiesa ed il monastero annesso ai monaci di San Vittore di Marsiglia. Questi la ristrutturano tra il 1089 e il 1119 in stile romanico. Mantennero il corpo centrale cupolato e rimaneggiarono i bracci laterali che furono divisi in tre navate. Di questi rimane integro solo quello orientale, munito di grande conca absidale, volta a botte e navatelle laterali con archi retti da colonne romane in marmo.

Braccio orientale dalla basilica di San Saturnino, Cagliari (fonte: Sardinia Virtual Archaeology).

Anche i Vittorini, infatti usarono nella loro fabbrica materiali più antichi, sia romani che bizantini come testimoniato da alcune mensole datate dal Professor Roberto Coroneo tra il VI-VII secolo d.C. La loro funzione è poco chiara, visto che nella costruzione vittorina rimasero inutilizzate e accanto si imposta in diagonale l’arco di cavalcamento tra le navatelle.

Mensola bizantina di reimpiego nella basilica di San Saturnino, Cagliari (fonte: Sardinia Virtual Archaeology).

In maniera particolare, la piccola navata sinistra del braccio orientale conserva un concio murato che mostra un’iscrizione araba di difficile lettura, datata tra il IX-X secolo d.C. Tuttavia, questa non è la sola ad essere stata rinvenuta nell’area. Infatti, nel giardino esterno alla chiesa vi è ancora una porzione di epigrafe funeraria in arabo, ascritta ai primi anni del X secolo d.C.

Concio riutilizzato con iscrizione in arabo della basilica di San Saturnino, Cagliari (fonte: Sardinia Virtual Archeology).

Ciò testimonia l’esistenza nella società cagliaritana di persone islamiche che condividevano con i cristiani luoghi funerari e di culto. Cagliari, oggi come allora, continua ad essere una città multietnica e aperta alle culture del Mediterraneo.

Per approfondire:

COLAVITTI ANNA MARIA, TRONCHETTI CARLO 2003, Guida Archeologica di Cagliari, Sassari.

CORONEO ROBERTO 1993, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ‘300, Nuoro.

MASTINO ATTILIO 1992, Le Iscrizioni rupestri del templum alla Securitas di Tito Vinio Berillo a Cagliari, in Rupes loquentes: Atti del Convegno internazionale di studio sulle iscrizioni rupestri di età romana in Italia, Roma, pp. 541-578.

SALVI DONATELLA 2002, Cagliari: l’area cimiteriale di San Saturnino, in P. G. Spanu (a cura di) Insulae Christi: il cristianesimo primitivo in Sardegna, Corsica e Baleari, Oristano, pp. 215-223.

SALVI DONATELLA 2002, Cagliari: San Saturnino, le fasi altomedievali, in Ai confini dell’Impero: storia, arte e archeologia della Sardegna bizantina, Cagliari, pp. 225-229.

SALVI DONATELLA, FOIS PIERO 2013, San Saturnino: specchio di una società multiculturale fra IX e X secolo, in Convegno di Studi, Settecento Millecento: storia, archeologia, arte nei secoli “bui” del Mediterraneo, Cagliari, pp. 853-880.

SPANU PIER GIORGIO 2000, Martyria Sardiniae: i santuari dei martiri sardi, Oristano.

ZUCCA RAIMONDO 1992, Il Complesso epigrafico rupestre della “Grotta delle Vipere”, in Rupes loquentes: Atti del Convegno internazionale di studio sulle iscrizioni rupestri di età romana in Italia, Roma, pp. 503-540.

Sardinia Virtual Archaeology: Basilica di San Saturnino

Sardinia Virtual Archaeology: Schede di dettaglio

Sardinia Virtual Archaeology: Reperti

L'Autore

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Federica Flore
Archeologa e guida turistica. Lavoro con passione per comunicare lo straordinario patrimonio archeologico della Sardegna e del Mediterraneo.

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