Uno degli aspetti meno conosciuti dell'attuale sito di Tharros, e che approfondiremo nella nostra prossima visita guidata, è certamente quello risalente al periodo nuragico con il sito di Murru Mannu. Millenni fa infatti, prima dell'arrivo dei fenici e dei romani, nel punto più alto dell'attuale area archeologica svettava un nuraghe circondato da un villaggio e protetto da un'imponente muraglia che dà il nome alla zona di "Murru Mannu". Il nuraghe, il villaggio e la muraglia di Murru Mannu I resti delle imponenti costruzioni sono visitabili risalendo il promontorio solcato dal "Cardo Maximus" poco dopo la biglietteria, sulla sinistra. Arrivati in cima è possibile individuare le capanne e la grande muraglia, rimaneggiata e sfruttata successivamente da altre popolazioni, ma le cui origini risalgono all'età del bronzo medio (XIV a.C. circa). Murru Mannu gode di una vista strategica sul golfo di Oristano e su tutta la penisola del Sinis. Ora sappiamo che in in quel periodo, soprattutto dal XIII a.C., la zona compresa fra le pendici di Montiferru e l'isola di Mal di Ventre era intensamente popolata da nuraghi, oltre 100 per la precisione con una densità di almeno 2 per km2. I principali siti nuragici nelle vicinanze Un sito probabilmente contemporaneo all'area di Murru Mannu è quello di Sa Osa, nella parte più a est del golfo, conosciuto per i resti di vari semi (vernaccia, melone, prugnolo) e di fauna. Tutto materiale che sta aiutando gli archeologi a capire meglio da cosa era composta l'alimentazione in epoca nuragica. A circa 10km inoltre sorge la necropoli di Mont'e Prama, vicina allo stagno di Cabras, e sull’unica via naturale di collegamento alle saline di Capo Mannu e ai giacimenti metalliferi di Montiferru. Volete saperne di più sui Nuragici e Tharros? Iscrivetevi alla nostra prossima visita guidata!
Uno degli aspetti meno conosciuti dell’attuale sito di Tharros, e che approfondiremo nella nostra prossima visita guidata, è certamente quello risalente al periodo nuragico con il sito di Murru Mannu. Millenni fa infatti, prima dell’arrivo dei fenici e dei romani, nel punto più alto dell’attuale area archeologica svettava un nuraghe
La popolazione degli Shardana è stata una delle protagoniste della storia del Mediterraneo a partire dal XIV secolo a.C. Il metodo di ricerca utilizzato finora ha riguardato prevalentemente l’analisi dei testi e delle raffigurazioni, per poi cercare conferme con gli scavi. La letteratura scientifica in merito è abbondante e comprende 150 anni di studi delle fonti scritte e pittoriche, scavi e ricerche, ma restano ancora tanti gli interrogativi. Uno dei più importanti è certamente quello legato alla loro provenienza. Ma allora, è possibile affermare che gli Shardana erano originari della Sardegna? Per cercare di dare una risposta a questo quesito, martedì 21 marzo a Cagliari, si è tenuto un incontro organizzato dall’Associazione Culturale Itzokor dal titolo “Gli Shardana: dall’Egitto faraonico al Mediterraneo. Riflessioni e nuove prospettive d’indagine”. Durante il dibattito è stato presentato il Progetto Shardana, coordinato dal Prof. Giacomo Cavillier direttore della Missione Archeologica Italiana a Luxor, che si è concentrato sui nuovi approcci scientifici agli studi. L’evento è stato aperto dal Prof. Alfonso Stiglitz, co-direttore degli scavi di S’Urachi a San Vero Milis, con una panoramica sullo stato delle indagini sugli Shardana e le linee di ricerca attive. Ricostruiamo insieme le principali argomentazioni presentate dai due archeologi. Il Prof. Stiglitz ha presentato due linee di ricerca, una che ha dato esito negativo e una che è ancora in corso. La prima ha riguardato il sito fortificato di El-Ahwat (Israele) oggetto di diverse campagne di scavo condotte dallo studioso italiano Adam Zertal dell’Università di Haifa, con la partecipazione dell’Università di Cagliari e del Prof. Giovanni Ugas. L’architettura di questo sito è stata associata a quella di costruzioni tipiche del Mediterraneo occidentale, tra cui quelle nuragiche. L’ipotesi quindi è che si trattasse di un avamposto egiziano controllato dagli Shardana. Gli scavi però hanno mostrato la prevalenza di materiale cananeo (ossia
La popolazione degli Shardana è stata una delle protagoniste della storia del Mediterraneo a partire dal XIV secolo a.C. Il metodo di ricerca utilizzato finora ha riguardato prevalentemente l’analisi dei testi e delle raffigurazioni, per poi cercare conferme con gli scavi. La letteratura scientifica in merito è abbondante e comprende
“Su Nuraxi” di Barumini è stato il primo sito nuragico a essere studiato in maniera sistematica, grazie al lavoro del Prof. Giovanni Lilliu che lo portò alla luce negli anni ‘50. Quasi 70 anni dopo, l’Università degli Studi di Cagliari continua le indagini archeologiche ed emergono interessanti dati, anche se ancora in fase di verifica e studio. I risultati preliminari sono stati presentati lunedì 13 marzo presso la Casa Zapata, in occasione dei 103 anni dalla nascita del Prof. Lilliu. Il lavoro del gruppo, diretto dal Prof. Riccardo Cicilloni insieme al Dott. Giacomo Paglietti, si è concentrato su tre aree: 1. l’area di Nord-Est; 2. la capanna 197; 3. la cosiddetta “torre-capanna”. È interessante soffermarsi sul metodo di lavoro applicato dagli archeologi. Ricostruiamolo area per area. Area di Nord-Est Premessa: erano visibili delle pietre disposte in fila. Ipotesi: le pietre avrebbero potuto indicare la presenza di altre strutture del villaggio, oppure essere dei semplici cumuli di pietre. Obiettivo dell’indagine: stabilire l’estensione del villaggio e quindi la presenza di nuove capanne. Risultato: non è stata trovata traccia di nessun’altra struttura, pertanto i limiti del villaggio indicati da Prof. Lilliu, almeno in questa parte della collina, sono stati confermati. Capanna 197 Premessa: Il Dott. Paglietti nella sua Tesi di Dottorato del 2011 ha identificato 3 capanne circolari diverse dalle altre per diametro (inferiore rispetto alle altre) e per spessore dei muri (il doppio delle altre). Si tratta delle strutture n. 116, 203 e la cosiddetta “torre-capanna”. Ipotesi: si sarebbe potuto trattare dei resti di mura, più antiche di quelle tuttora visibili. Obiettivo dell’indagine: verificare se al di sotto della capanna 197 vi sono i resti delle mura. Risultato: all’interno della capanna, sul pavimento realizzato con un sottofondo in argilla, sono stati trovati due pozzetti. Questi sono perfettamente allineati tra loro, e proprio
“Su Nuraxi” di Barumini è stato il primo sito nuragico a essere studiato in maniera sistematica, grazie al lavoro del Prof. Giovanni Lilliu che lo portò alla luce negli anni ‘50. Quasi 70 anni dopo, l’Università degli Studi di Cagliari continua le indagini archeologiche ed emergono interessanti dati, anche se