Il paese di Solarussa, in Provincia di Oristano, è situato in uno dei territori più fertili della Sardegna: il Campidano Maggiore, attraversato dal fiume Tirso. Il suo stesso nome potrebbe significare “terra rossa” e lo troviamo documentato già nel 1200 circa nel Condaghe di Santa Maria di Bonarcado. Nella prossima visita guidata percorreremo insieme le sue vie per ricostruire la sua storia, le sue tradizioni e le principali attività lavorative che caratterizzano il paese.
La tradizione cerealicola e vitivinicola
Solarussa sorge su una piccola collina di 12 metri di altezza, circondata da terre pianeggianti, conosciute fin dall’antichità per la loro estrema fertilità. Sono numerose le colture documentate: dai cereali alle leguminose, dalla vite all’orticoltura. Una coltivazione che attualmente non è più presente è quella del lino, che sicuramente caratterizzava il paesaggio della zona, almeno a giudicare dalla seguente testimonianza:
“Il suo fiore era azzurro…per cui quelle azzurre distese sembravano un cielo immenso” (Solarussa “Una comunità racconta se stessa”, Ledda 1996: 53).
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Molto redditizia era anche la coltivazione di angurie e meloni, in particolare nella localita di Bennaxi (a sud del paese), vicino al fiume Tirso. Le frequenti inondazioni che colpivano non solo i campi, ma anche la stessa Solarussa, favorivano l’orticoltura. Il problema delle esondazioni è stato risolto solo alla fine degli anni ’40 del 1900 quando vennero costruiti gli argini.
L’economia solarussese a quel tempo, si basava prevalentemente sulla coltivazione specializzata della vite, in particolare per la produzione della vernaccia. Il momento di maggior espansione si colloca tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900. Da un documento del 1929 si è potuto calcolare che l’80% dei proprietari terrieri avesse almeno una vigna. Infatti, ai grandi possidenti, che erano anche i principali produttori di vernaccia, si affiancavano i piccoli proprietari che non rinunciavano alla coltivazione di vite. Questa si praticava in tutta l’area intorno al paese, ma la resa era diversa. I terreni che garantivano una migliore qualità erano quelli di Bennaxi, più vicini alle acque del Tirso, mentre quelli di Gregori erano più adatti ai cereali e si trovano nella parte a nord del paese.
Nel Bennaxi, la vernaccia poteva raggiungere il tasso alcolico di 25 gradi. Queste sue caratteristiche hanno fatto esclamare a un solarussese:
“Eh! Su bennaxi e sempri bennaxi, su gregori si faidi po apprettu.”
(Ledda 1996: 61)
Ossia: “il Bennaxi è sempre il Bennaxi, il Gregori si coltiva per necessità”.
Nella vendemmia era coinvolta gran parte della popolazione. Generalmente a settembre, le donne tagliavano i grappoli d’uva e gli uomini li mettevano dentro dei sacchi. Poi iniziava la pigiatura, salendo con i piedi sui sacchi e premendo in modo da ottenere il succo. Successivamente il contenuto dei sacchi veniva versato nelle presse e si continuava a spremere. Il mosto così ottenuto veniva posto nelle botti e trasportato in cantina, dove veniva conservato all’interno di altre botti.
Tra le vie di Solarussa
Chi da Oristano si reca a Solarussa, può percorrere nell’ultimo tratto la strada provinciale 15, costeggiare la parte sud-est del paese e arrivare fino alla piazza Mariano IV. Qui si erge il monumento ai caduti, in ricordo dei solarussesi che sono morti nella prima e seconda guerra mondiale.
Ma fino al 1930, quest’area era occupata da “Sa Paui“, palude che si estendeva per 4 ettari, dall’attuale via Gramsci. L’acqua brulicava di vita: anatre, folaghe e pesci tra cui le anguille. Nei mesi estivi, donne e uomini si dilettavano nella pesca. Ma soprattutto la presenza di zanzare anofele, portatrici di malaria e altre malattie, rese necessaria la bonificazione. Nelle vicinanze sorgeva anche la fabbrica di mattoni che si serviva proprio dell’acqua della palude per impastare il fango e la paglia. Il composto doveva essere lavorato per ore prima di essere versato in stampi di legno e lasciato asciugare per circa 6 ore.
Passeggiando tra le vie del paese avremmo modo di notare le tante case costruite con questi mattoni crudi (ladrini) che di solito erano impiegati nelle case dei braccianti. Invece, le case dei medi e grandi proprietari si differenziavano chiaramente: balconi in ferro battuto, ampi ingressi, a volte stemma familiare sul portone d’ingresso (come a Casa Sanna).
Gli edifici religiosi
Tra i punti d’interesse storico di Solarussa ci sono le chiese. Tre si trovano all’interno del centro abitato o appena fuori. La più antica è quella di Santa Maria delle Grazie.
Infatti il culto risale all’epoca di Costantino VI e di sua madre Irene, intorno alla fine dell’VIII d.C. Invece la prima attestazione della chiesa si data al 1200 circa, in quanto appare nel Condaghe di Santa Maria di Bonarcado come chiesa parrocchiale di Solarussa. L’attuale facciata con i due campanili è opera dell’architetto Giuseppe Cominotti da Cuneo, lo stesso che realizzerà l’attuale edificio parrocchiale di San Pietro Apostolo. All’interno, la volta del presbiterio è riccamente decorata da delle pitture realizzate nel 1936 dal maestro oristanese Carlo Contini.
Proseguendo, ci soffermiamo davanti alla chiesa di San Pietro Apostolo, iniziata nel 1830 e terminata nel 1835. La sua costruzione fu considerata necessaria vista la crescita del paese e di conseguenza dei fedeli. L’architetto Cominotti progettò il nuovo edificio che fu consacrato il 24 giugno da Monsignor Bua.
Entrando nella chiesa si possono ammirare diversi altari in marmo policromo e due grandi quadri attribuibili al pittore cagliaritano Giovanni Marghinotti.
Sul lato destro del piazzale, si affaccia l’altro edificio ecclesiastico intitolato alle Anime o al Suffragio.
Probabilmente deve il suo nome alla vicinanza con un antico cimitero, nei pressi delle sue mura. La data della sua fondazione, 1749, è incisa su una lapide posta al di sopra della facciata; mentre lo studioso Cherchi Paba riferisce che le pietre impiegate per la sua costruzione proverrebbero da un piccolo villaggio vicino, Villalonga, abbandonato durante un’epidemia di peste.
L’ultima chiesa, quella di San Gregorio Magno, si trova a circa 1.5 km dal centro del paese. Sorge su una collina, dalla quale svetta sul paesaggio circostante. Sempre secondo Cherchi Paba, a pochi metri dall’attuale chiesa sorgeva un nuraghe che fu in parte demolito proprio per la sua costruzione.
La chiesa, in stile romanico, ha un aspetto austero e raccolto conferitogli dall’uso di blocchi di basalto ben squadrati. Questo edificio datato orientativamente al XIII secolo, è stato costruito sopra una chiesa paleocristiana venuta alla luce durante i lavori di restauro degli anni ’80 del 1900.
La chiesetta è particolarmente amata dalla popolazione solarussese che ogni anno organizza una festa in onore del santo. Il 12 marzo, si celebra la festa prettamente religiosa seguita da quella più popolare del secondo martedì di ottobre. In quella occasione gli anziani ricordano come:
“La campagna che circonda la chiesetta si riempiva di carri, carrette, tavoli colmi di dolci, pesce e carne arrosto”
(Contini 1996: 96)
Una testimonianza che dipinge uno dei quadri più caratteristici di questo piccolo paese e dei sui abitanti.
Se l’articolo vi ha incuriosito e volete conoscere altri dettagli sulla storia e le tradizioni di Solarussa iscrivetevi alla nostra prossima visita guidata!
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