Sorry, this entry is only available in Italian. For the sake of viewer convenience, the content is shown below in the alternative language. You may click the link to switch the active language.Cari lettori, con un misto di piacere e commozione in questo 2018 riprendiamo la rubrica dedicata alla recensione di opere che si distinguono per l'approccio innovativo e scientifico con cui comunicano il patrimonio culturale della Sardegna. Questa volta vi segnaliamo il libro del Prof. Ercole Contu, che ci ha lasciato recentemente dopo aver pubblicato l'anno scorso (2017) con Carlo Delfino Editore all'interno della collana Leggere è un Gusto. Ci riferiamo al "volumetto" (come lo definisce lo stesso autore) "Un drink al nuraghe". Questo articolo esiste grazie al tuo contributo! Se lo apprezzi ti invitiamo a sostenerci. Grazie Per chi come noi si occupa di cultura e archeologia in Sardegna, Ercole Contu non ha bisogno di presentazioni. Tuttavia è bene ricordare che Contu è stato Professore Emerito di Antichità Sarde presso l’Università di Sassari, e ha legato il suo nome in modo indissolubile all'archeologia sarda, avendo diretto diverse importanti campagne di scavo, pubblicato numerosi contributi, ed essendo stato protagonista della scoperta, tra i vari siti, dell'altare preistorico di Monte d'Accoddi, in Provincia di Sassari. L'elenco delle sue attività è lunghissimo, vi invitiamo a ripercorrerle attraverso le parole che gli ha dedicato qualche anno fa il Prof. Attilio Mastino. La recensione di "Un drink al nuraghe" Ma veniamo alla recensione: il libro si presenta bene, con la copertina morbida, il formato di dimensioni ridotte, poche pagine (110 in totale) e una grafica semplice che cattura l'attenzione del lettore. Sulla prima di copertina figura il bronzetto con gruccia ritrovato a Santa Vittoria di Serri, mentre la quarta è occupata per metà dall'immagine raffigurata all'interno di una kylix (coppa) del pittore Exekias con la nave di Dioniso, il dio del vino nella
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Sorry, this entry is only available in Italian. For the sake of viewer convenience, the content is shown below in the alternative language. You may click the link to switch the active language.Il paese di Solarussa, in Provincia di Oristano, è situato in uno dei territori più fertili della Sardegna: il Campidano Maggiore, attraversato dal fiume Tirso. Il suo stesso nome potrebbe significare "terra rossa" e lo troviamo documentato già nel 1200 circa nel Condaghe di Santa Maria di Bonarcado. Nella prossima visita guidata percorreremo insieme le sue vie per ricostruire la sua storia, le sue tradizioni e le principali attività lavorative che caratterizzano il paese. La tradizione cerealicola e vitivinicola Solarussa sorge su una piccola collina di 12 metri di altezza, circondata da terre pianeggianti, conosciute fin dall'antichità per la loro estrema fertilità. Sono numerose le colture documentate: dai cereali alle leguminose, dalla vite all'orticoltura. Una coltivazione che attualmente non è più presente è quella del lino, che sicuramente caratterizzava il paesaggio della zona, almeno a giudicare dalla seguente testimonianza: "Il suo fiore era azzurro...per cui quelle azzurre distese sembravano un cielo immenso" (Solarussa "Una comunità racconta se stessa", Ledda 1996: 53). Questo articolo esiste grazie al tuo contributo! Se lo apprezzi ti invitiamo a sostenerci. Grazie Molto redditizia era anche la coltivazione di angurie e meloni, in particolare nella localita di Bennaxi (a sud del paese), vicino al fiume Tirso. Le frequenti inondazioni che colpivano non solo i campi, ma anche la stessa Solarussa, favorivano l'orticoltura. Il problema delle esondazioni è stato risolto solo alla fine degli anni '40 del 1900 quando vennero costruiti gli argini. L'economia solarussese a quel tempo, si basava prevalentemente sulla coltivazione specializzata della vite, in particolare per la produzione della vernaccia. Il momento di maggior espansione si colloca tra la fine del 1800
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Il tempio a megaron di Spadula si trova nel comune di Gonnosfanadiga, a pochi chilometri dal Monte Linas. Il territorio è caratterizzato dalla fertile pianura del Campidano Occidentale, che ha favorito l'insediamento umano fin dalla preistoria. L'area del tempio infatti è costellata di resti archeologici, tra cui i più significativi sono di età nuragica: qui sono stati rinvenuti vasi di ridotte dimensioni e un pozzo, forse con valenze sacre. Sicuramente alla sfera del sacro si riferisce il tempio a megaron, che potremo visitare insieme durante la prossima visita guidata. Il tempio a megaron di Spadula: caratteristiche L'espressione tempio a megaron in Sardegna si riferisce a edifici sacri di età nuragica, databili tra il XII e il IX a.C. La sua forma ricorda strutture similari del Mediterraneo Orientale, in particolare all'interno dei palazzi micenei. Il tempio è detto anche in antis perché l'ambiente centrale può essere prolungato nella parte anteriore e posteriore da due due muri paralleli. Il tempio di Spadula, individuato negli anni '80, è stato di recente sottoposto al vincolo di tutela dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici. Infatti, il suo stato di conservazione e la posizione geografica ne fanno uno degli esempi più importanti della Sardegna meridionale. Conserva un'unica camera quadrata, mentre aggiunte successive (forse del XIX secolo d.C.) sono il grande recinto per bestiame e la struttura costruita sopra il tempio. I templi a megaron in Sardegna In Sardegna, sono stati rinvenuti pochi esempi di templi a megaron, prevalentemente nelle zone interne dell'isola. Sorgono generalmente in altura e li ritroviamo a volte vicino a dei templi a pozzo. I templi a megaron differiscono per dimensioni. Il più grande è quello di Domu’e Orgia (Esterzili), seguito da quello di S’Arcu’e is Forros (Villagrande Strisaili). Da evidenziare Romanzesu (Bitti), dove oltre al tempio a pozzo ci sono 3 templi a megaron. Quale culto veniva praticato? Dai dati di scavo
Il tempio a megaron di Spadula si trova nel comune di Gonnosfanadiga, a pochi chilometri dal Monte Linas. Il territorio è caratterizzato dalla fertile pianura del Campidano Occidentale, che ha favorito l’insediamento umano fin dalla preistoria. L’area del tempio infatti è costellata di resti archeologici, tra cui i più significativi