La popolazione degli Shardana è stata una delle protagoniste della storia del Mediterraneo a partire dal XIV secolo a.C. Il metodo di ricerca utilizzato finora ha riguardato prevalentemente l’analisi dei testi e delle raffigurazioni, per poi cercare conferme con gli scavi. La letteratura scientifica in merito è abbondante e comprende 150 anni di studi delle fonti scritte e pittoriche, scavi e ricerche, ma restano ancora tanti gli interrogativi. Uno dei più importanti è certamente quello legato alla loro provenienza. Ma allora, è possibile affermare che gli Shardana erano originari della Sardegna? Per cercare di dare una risposta a questo quesito, martedì 21 marzo a Cagliari, si è tenuto un incontro organizzato dall’Associazione Culturale Itzokor dal titolo “Gli Shardana: dall’Egitto faraonico al Mediterraneo. Riflessioni e nuove prospettive d’indagine”. Durante il dibattito è stato presentato il Progetto Shardana, coordinato dal Prof. Giacomo Cavillier direttore della Missione Archeologica Italiana a Luxor, che si è concentrato sui nuovi approcci scientifici agli studi. L’evento è stato aperto dal Prof. Alfonso Stiglitz, co-direttore degli scavi di S’Urachi a San Vero Milis, con una panoramica sullo stato delle indagini sugli Shardana e le linee di ricerca attive. Ricostruiamo insieme le principali argomentazioni presentate dai due archeologi. Il Prof. Stiglitz ha presentato due linee di ricerca, una che ha dato esito negativo e una che è ancora in corso. La prima ha riguardato il sito fortificato di El-Ahwat (Israele) oggetto di diverse campagne di scavo condotte dallo studioso italiano Adam Zertal dell’Università di Haifa, con la partecipazione dell’Università di Cagliari e del Prof. Giovanni Ugas. L’architettura di questo sito è stata associata a quella di costruzioni tipiche del Mediterraneo occidentale, tra cui quelle nuragiche. L’ipotesi quindi è che si trattasse di un avamposto egiziano controllato dagli Shardana. Gli scavi però hanno mostrato la prevalenza di materiale cananeo (ossia
La popolazione degli Shardana è stata una delle protagoniste della storia del Mediterraneo a partire dal XIV secolo a.C. Il metodo di ricerca utilizzato finora ha riguardato prevalentemente l’analisi dei testi e delle raffigurazioni, per poi cercare conferme con gli scavi. La letteratura scientifica in merito è abbondante e comprende
Il Campidano fin dall’età nuragica è stato luogo di importanti attività produttive e scambi che riguardavano tutto il Mediterraneo. In particolare il territorio di Guspini, con le miniere di Montevecchio, era interessato da un’intensa produzione metallurgica. Il territorio di Guspini in età nuragica tra miniera e mare Sabato 18 marzo proprio a Guspini, durante un convegno organizzato dal Gruppo Archeologico di Neapolis, è emersa una nuova interessante ipotesi in proposito. L’ha presentata al pubblico la Dott.ssa Laura Garau, archeologa che da anni lavora in maniera indipendente sul territorio, portando avanti la ricerca avviata con la sua tesi di laurea, incentrata sul censimento dei resti nuragici di questa zona. Ripercorriamo insieme il suo intervento dal titolo “Il territorio di Guspini in età nuragica tra miniera e mare”. La premessa si è concentrata sul concetto di paesaggio, inteso come una costante osmosi tra l’opera dell’uomo e l’ambiente in cui vive. Sono state dunque individuate due macroaree, ponendo come punto di riferimento l’area mineraria di Montevecchio: una nella parte meridionale e l’altra in quella di nord-ovest. Ogni macroarea si caratterizza per l’omogeneità delle tecniche costruttive, dei materiali utilizzati e dello schema territoriale. Della macroarea sud fanno parte protonuraghi, nuraghi e tombe dei giganti. Alcuni esempi sono: - il protonuraghe Cara; - il protonuraghe complesso Arrosu; - il nuraghe Terra Furca, con una sola torre (monotorre); - il nuraghe Terra Maistus; - la tomba dei giganti di San Cosimo; - la tomba dei giganti di Bruncu Sa Grutta; - il nuraghe di Bruncu Sa Grutta, di tipo complesso, forse circondato da 4 torri (quadrilobato). La concentrazione dei resti di epoca nuragica, la complessità di alcuni nuraghi (polilobati, ossia con più torri), le dimensioni della tomba dei giganti di San Cosimo (la terza più lunga in Sardegna) e il ritrovamento al suo interno di una
Il Campidano fin dall’età nuragica è stato luogo di importanti attività produttive e scambi che riguardavano tutto il Mediterraneo. In particolare il territorio di Guspini, con le miniere di Montevecchio, era interessato da un’intensa produzione metallurgica. Il territorio di Guspini in età nuragica tra miniera e mare Sabato 18 marzo
“Su Nuraxi” di Barumini è stato il primo sito nuragico a essere studiato in maniera sistematica, grazie al lavoro del Prof. Giovanni Lilliu che lo portò alla luce negli anni ‘50. Quasi 70 anni dopo, l’Università degli Studi di Cagliari continua le indagini archeologiche ed emergono interessanti dati, anche se ancora in fase di verifica e studio. I risultati preliminari sono stati presentati lunedì 13 marzo presso la Casa Zapata, in occasione dei 103 anni dalla nascita del Prof. Lilliu. Il lavoro del gruppo, diretto dal Prof. Riccardo Cicilloni insieme al Dott. Giacomo Paglietti, si è concentrato su tre aree: 1. l’area di Nord-Est; 2. la capanna 197; 3. la cosiddetta “torre-capanna”. È interessante soffermarsi sul metodo di lavoro applicato dagli archeologi. Ricostruiamolo area per area. Area di Nord-Est Premessa: erano visibili delle pietre disposte in fila. Ipotesi: le pietre avrebbero potuto indicare la presenza di altre strutture del villaggio, oppure essere dei semplici cumuli di pietre. Obiettivo dell’indagine: stabilire l’estensione del villaggio e quindi la presenza di nuove capanne. Risultato: non è stata trovata traccia di nessun’altra struttura, pertanto i limiti del villaggio indicati da Prof. Lilliu, almeno in questa parte della collina, sono stati confermati. Capanna 197 Premessa: Il Dott. Paglietti nella sua Tesi di Dottorato del 2011 ha identificato 3 capanne circolari diverse dalle altre per diametro (inferiore rispetto alle altre) e per spessore dei muri (il doppio delle altre). Si tratta delle strutture n. 116, 203 e la cosiddetta “torre-capanna”. Ipotesi: si sarebbe potuto trattare dei resti di mura, più antiche di quelle tuttora visibili. Obiettivo dell’indagine: verificare se al di sotto della capanna 197 vi sono i resti delle mura. Risultato: all’interno della capanna, sul pavimento realizzato con un sottofondo in argilla, sono stati trovati due pozzetti. Questi sono perfettamente allineati tra loro, e proprio
“Su Nuraxi” di Barumini è stato il primo sito nuragico a essere studiato in maniera sistematica, grazie al lavoro del Prof. Giovanni Lilliu che lo portò alla luce negli anni ‘50. Quasi 70 anni dopo, l’Università degli Studi di Cagliari continua le indagini archeologiche ed emergono interessanti dati, anche se