Le marinerie puniche e romane
Abbiamo deciso di occuparci dello scontro e l’incontro tra la marineria punica e quella romana, perché si tratta di eventi che hanno fortemente influenzato la storia nel Mar Mediterraneo. Quello punico e il romano sono due mondi marinareschi che, seppur originariamente rivali, sono intimamente legati tra di loro, tanto che possiamo considerare l’uno erede dell’altro.
Tuttavia, bisogna ammettere l’esistenza di un grande divario nella qualità e quantità della documentazione storica ed archeologica fra questi due mondi. Ciò ha reso la marineria punica quasi del tutto sconosciuta rispetto a quella romana, nonostante il suo ruolo fondamentale nella tradizione marinaresca mediterranea e la sua eccellenza riconosciuta da tutti gli storici del mondo antico. Infatti, dal momento che non si dispone di fonti puniche scritte, da cui trarre preziose informazioni per la ricostruzione della marineria, è necessario rifarsi a fonti storiche di origine greca e latina, o a quelle iconografiche, spesso di difficile lettura e comprensione.
Per semplificare, è possibile dividere le tipologie di navi puniche e romane in due macrogruppi: le “navi tonde” e le “navi lunghe”.
Le “navi tonde”
Le “navi tonde” sono le navi da carico, utilizzate per il trasporto delle merci. Si tratta di grandi imbarcazioni caratterizzate da scafi capienti, rotondi e dalla esclusiva propulsione velica. In questa categoria, rientrano, ad esempio, le gaulos della marineria fenicio-punica, ma anche le grandi navi onerarie romane.
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Un esempio di nave oneraria può essere il relitto di Mal di Ventre. Questa, naufragata al largo della costa sud-est della piccola isola di Malu Entu intorno alla prima metà del I secolo a.C. (età romana repubblicana), trasportava un carico altamente specializzato, costituito da 999 lingotti di piombo attualmente esposti in parte al Museo di Cabras, prelevato dall’attuale area di Cartagena, l’antica Carthago Nova (Spagna sudorientale). Tutti i lingotti plumbei hanno conservato un cartiglio, dove ancora è possibile leggere i nomi dei proprietari. La maggior parte di essi apparteneva a due fratelli Marco e Caio della ricca famiglia ispanica dei Pontilieni.
Le “navi lunghe”
“Le navi lunghe” sono le navi da guerra, caratterizzate da scafi lunghi e sottili, da doppia propulsione sia velica che remiera, la quale permetteva a queste imbarcazioni di essere più agili e di eseguire repentine manovre anche in ristretti bracci di mare. Tra le principali navi da guerra, è possibile riconoscere quattro tipi d’imbarcazione, tutti definiti con nomi greci e latini, per mancanza della presenza di fonti puniche:
- Pentecontoro: nave da combattimento tipica dell’età arcaica (VIII-VI a.C.), ma utilizzata anche successivamente (V-IV a.C.) per i viaggi d’esplorazione e nei viaggi coloniali. Era un’imbarcazione caratterizzata inizialmente da 50 remi, disposti 25 per lato e manovrati da un solo rematore per remo.
- Triera: nave con tre ordini di remi sovrapposti, azionati sempre da un unico rematore.
- Tetrera: protagonista delle battaglie navali delle guerre puniche, è caratterizzata da quattro rematori per unità di voga.
- Pentera: come la tetrera ma con cinque rematori per unità di voga.
Il porto della città di Tharros: Mistras
Il porto punico e romano di Tharros doveva localizzarsi nell’area di Mistras. La laguna di Mistras è da sempre un ambiente altamente instabile, e risente continuamente delle correnti marine e delle fluttuazioni del livello del mare.
Grazie alle analisi geoarcheologiche, gli studiosi hanno potuto appurare che in origine Mistras fosse una grande baia, poi in seguito trasformata in laguna sia per cause naturali che antropiche. L’originario porto fenicio doveva localizzarsi di fronte ad una piccola lingua di terra, originatasi a seguito degli apporti di sedimenti da parte del mare. Questo porto, però, non aveva infrastrutture.
Le prime costruzioni portuali risalgono ad età punica, quando tra il IV-III secolo a.C. si realizzarono due costruzioni: un muro con blocchi in basalto ed un muro a doppio paramento realizzato con blocchi in arenaria e pietrame minuto al centro. L’obbiettivo era quello di creare un porto maggiormente protetto e chiuso. Tuttavia, questo non fece altro che accelerare la formazioni di ulteriori spiagge e lingue di terra che hanno causato l’insabbiamento del porto stesso. Di conseguenza, già in età romana imperiale (I-III d.C.) non poteva più essere utilizzato e l’approdo venne spostato all’esterno della laguna, esattamente nel bacino orientale.
Le imbarcazioni in età medievale e spagnola
Le navi del Mediterraneo conobbero ben poche evoluzioni tra l’età romana e il Medioevo. Una delle più grandi innovazioni del mondo medievale fu l’introduzione del timone alla navaresca, ossia un unico timone posto al centro della poppa. Le tipologie delle imbarcazioni dei primi secoli del Medioevo non si distaccarono dai due modelli navali del mondo antico: la “nave rotonda” e la “nave lunga”.
La forma rotonda della nave antica si mantenne nella cocca, introdotta a partire dal XII secolo, e, successivamente, nella caracca utilizzata dal XV secolo. Questo grande veliero con tre o quattro alberi verticali era probabilmente nato a Genova, perché il suo sinonimo “Nao” in dialetto genovese significa appunto nave.
La forma delle navi lunghe, invece, si preservò nei dromoni bizantini e nelle galee italiane, diffuse nel corso del XIII secolo con la nascita delle Repubbliche marinare.
Nel periodo spagnolo, si continuò ad utilizzare la caracca come grande nave per i commerci, ma l’ingegneria navale si evolvette per affrontare le esplorazioni oceaniche. La galea, invece, venne rapidamente soppiantata dal galeone a vela e dalle caravelle. Queste, sviluppate dalla caracca nel corso del XV secolo, erano molto più robuste, veloci e potevano meglio affrontare le rotte oceaniche.
Il porto giudicale di Oristano e l’importanza della Gran Torre nel periodo spagnolo
Il porto giudicale e spagnolo della città di Oristano, denominato dalle fonti Portus Cuchusii Arestanni, era ipoteticamente localizzato nel settore nordoccidentale del litorale di Torregrande in località Cuguzzu. Tuttavia, la sua esatta posizione non è ancora del tutto chiara. Secondo lo studioso Piero Ortu, Oristano aveva un porto lagunare nei pressi dell’imboccatura di Sa Mardini, protetto dal cordone dunario della spiaggia di Torregrande.
Dai documenti sappiamo che nel corso del 1542 i cittadini di Oristano, vessati dai tributi degli spagnoli, finanziarono la costruzione di un’imponente torre: la Gran Torre appunto. Il monumento, considerato il vero fulcro delle fortificazione costiere edificate nel golfo, si localizzava a poca distanza dal porto e aveva la funzione di controllare e difendere il territorio, sia dal punto di vista politico e militare, che dal punto di vista economico e commerciale.
Al suo interno la torre conserva preziose testimonianze delle navi che solcavano il mare del golfo. Infatti, sull’intonaco del vano inferiore sono ancora visibili due riproduzioni di imbarcazioni realizzate l’una sopra l’altra. I graffiti, anche se di difficile comprensione, riproducono probabilmente una galea ed una caracca.
Le due raffigurazioni hanno interessanti analogie con quelle contemporanee che si ritrovano negli ambienti dell’ipogeo di San Salvatore. Questo, essendo un importante luogo di culto, è sempre stato meta di pellegrinaggio da parte dei marinai, i quali riproducevano le loro imbarcazioni con la speranza di mettere la loro stessa vita e il loro viaggio sotto la protezione della divinità. Ma questa è un’altra storia, che vi racconteremo presto durante l’itinerario Visitare il Sinis paleocristiano: dall’ipogeo di San Salvatore alla chiesa di San Giovanni.
Il tema della navigazione nel golfo di Oristano dall’età punica all’età spagnola è stato al centro di un intervento che, con l’APS Mare Calmo, ho curato personalmente nell’ambito del #VELADAY2019, evento organizzato sabato 1 e domenica 2 giugno 2019 dall’Asd Eolo Beach Sport di Torregrande. L’iniziativa si inserisce nella più ampia rassegna promossa dalla Federazione Italiana Vela, per promuovere la cultura del mare e lo sport della vela. Ringraziamo Eolo, e in particolare Eddy Piana per averci coinvolto in questa bella iniziativa che ha saputo unire sport, cultura e tutela dell’ambiente.
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