Nel sud Sardegna, lungo la costa occidentale, si estende sul mare l’isola di Sant’Antioco, che ospita da millenni una frequentazione antropica risalente già al periodo preistorico. La posizione geografica favorevole e la presenza di un territorio ricco di risorse marine e lacustri furono fattori che contribuirono all’insediamento dei Fenici in questa zona.
La scoperta dell’antica Sulky
Nel 1983 vennero portati alla luce i resti di un abitato di età romana, che a sua volta sovrastava delle abitazioni di età fenicia, tra le più antiche in Sardegna. Nell’area denominata “Cronicario”, gli scavi si susseguirono per anni, confermando l’importanza e l’antichità delle abitazioni soprattutto grazie al ritrovamento di ceramiche di importazione datate all’inizio dell’VIII secolo a.C. Questo e molto altro lo potremo osservare nel nostro speciale itinerario di domenica 26 agosto.
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Come accennato, l’abitato moderno della città di Sant’Antioco si sovrappone all’antico insediamento di età fenicio punica, pertanto ancora oggi manca una visione d’insieme di come doveva svilupparsi l’intero abitato, e poco sappiamo della necropoli di età fenicia. I pochi materiali pervenuti da recuperi fortuiti e poi confluiti in collezioni private, ci fanno ipotizzare la presenza di una necropoli di fase arcaica in una zona sabbiosa, in corrispondenza del Lungomare. Le poche tracce di bruciato e il ritrovamento di brocche datate tra il VII e il VI secolo a.C. fanno pensare alla pratica dell’incinerazione.
Molto di più sappiamo sulla necropoli punica che, pur non essendo stata scavata nella sua totalità, si immagina raggiungesse un’estensione complessiva attorno ai 10 ettari, occupando il colle Is Pirixeddus e arrivando fino alle pendici dello stesso, dove oggi sorge la Basilica di Sant’Antioco. Al suo interno è possibile visitare le catacombe di età paleocristiana che prendono origine dal riutilizzo di antiche camere funerarie di età punica.
Il rituale punico prevedeva la pratica dell’inumazione, ma non mancano casi di commistione con l’incinerazione che venne ripresa in età tarda. Le camere funerarie sfruttavano il bancone tufaceo e si accedeva per mezzo di un corridoio scalinato, detto dromos, che in fase più tarda tendeva a restringersi, mentre lo spazio della camera era ripartito in due vani da un tramezzo interno. La deposizione del defunto poteva avvenire in diverse modalità:
- in sarcofagi lignei che venivano assemblati all’interno della camera, per via di dromoi stretti che non consentivano una facile discesa degli stessi;
- in lettini lignei sostenuti da blocchi lapidei;
- in piccole fosse scavate direttamente sul pavimento.
Questo complesso funerario rappresenta un chiaro riflesso delle dinamiche sociali di età punica. Attraverso lo studio dei reperti e della posizione dei defunti, si può dedurre che le camere accogliessero gruppi famigliari alcuni dei quali dovevano rivestire una certa importanza sociale per via della ricchezza dei materiali. Gioielli in oro, collane in pasta vitrea, amuleti e corredi ceramici ci raccontano indirettamente il ruolo sociale che poteva avere in vita il defunto.
Particolare attenzione venne riposta su alcune camere funerarie: è il caso della tomba 7 nota anche come Tomba dell’egizio, scavata da Paolo Bernardini, la quale riporta nel pilastro centrale della camera un altorilievo di un personaggio maschile con costume egittizzante sovradipinto; oppure la tomba 11 che al suo interno ospitava un sarcofago ligneo conformato a figura femminile.
Queste due tombe, datate tra la fine del VI e l’inizi del V secolo a.C., esprimono senz’altro la presenza di una classe rilevante all’interno della società punica e ne veniva tramandata la sua importanza oltre la vita. Nel caso del sarcofago femminile lo stesso Paolo Bernardini ipotizzò che potesse trattarsi di una sacerdotessa rappresentata negli abiti con cui le veniva riconosciuta questa funzione.
Il Museo Archeologico Ferruccio Barreca di Sant’Antioco
La storia della civiltà fenicio punica si può ben apprezzare con il recente allestimento del MAB “Museo Archeologico Ferruccio Barreca” di Sant’Antioco, attraverso ricostruzioni digitali è possibile conoscere le sepolture più caratteristiche non aperte al pubblico, rivivere le varie fasi del rituale funebre e ammirare preziosi corredi. Tra le aree didattiche merita una menzione a parte il “tavolo dell’archeologo”, un sistema interattivo con il quale si possono scoprire le antiche tecniche di lavorazione dei gioielli, vetri, amuleti e altri materiali che sono il frutto di tradizioni artigianali spesso di origine orientale.
Il percorso suddiviso in tre sale permette di immergersi nei contesti più importanti che hanno caratterizzato la storia di Sulky:
- la sala 1 racconta la vita quotidiana dell’abitato;
- la sala 2 ci condurrà nella penombra delle antiche necropoli di Sulky;
- la sala 3 ci svelerà la storia del tofet e il suo significato tra falsi miti e indagini archeologiche.
Il tofet, il santuario a cielo aperto
Il tofet è una delle aree meglio conosciute dell’antica Sulky, santuario a cielo aperto, si sviluppa su un bancone trachitico per la deposizione di urne cinerarie ospitate nelle fenditure rocciose. In fasi successive le stesse urne verranno deposte sulla terra a formare più strati. Attualmente oggetto di studio da parte dell’Università di Sassari, sul tofet è stato scritto tanto nel corso degli studi lasciando spazio alle ipotesi più suggestive. Luogo storicamente legato al sacrificio di bambini, in realtà dai risultati osteologici si può considerare un’area sacra, all’interno della quale venivano deposti bambini nati morti o morti in tenera età. Essendo ancora dei feti infatti, non potevano essere oggetto di sacrificio ma al tempo stesso non fecero in tempo ad essere accolti dalla compagine sociale, pertanto a loro veniva dedicata particolare attenzione.
Questo santuario nasce con l’abitato agli albori dell’VIII secolo a.C. e rimane in uso fino al III-II secolo a.C. Nelle deposizioni più arcaiche spesso le urne cinerarie sono accompagnate da vasetti miniaturistici e da monili e piccoli amuleti, forse con la funzione di proteggere i piccoli defunti nel loro viaggio ultraterreno. Alla metà del VI secolo a.C. le urne vengono accompagnate dalle stele, il cui repertorio iconografico esprime l’originalità delle produzioni locali ma allo stesso tempo sono i testimoni della religiosità di questo popolo.
Se avete trovato questo articolo interessante e siete curiosi di scoprire di più sulle civiltà fenicio-puniche del sud della Sardegna vi invitiamo a prenotare il nostro speciale itinerario!
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