Le necropoli di Tharros: tombe e corredi dei cimiteri fenicio-punici nella Penisola del Sinis
Bracciale d'oro o diadema proveniente dalle necropolidi Tharros e custodito al British Museum di Londra

Sapete che le due più importanti necropoli di Tharros sono situate al di fuori del recinto dell’area archeologica? Sul promontorio di Capo San Marco, in età fenicia e poi punica, fu costruita la necropoli meridionale. In direzione opposta, tra le case della borgata di San Giovanni di Sinis sorse l’altro complesso funerario, la necropoli settentrionale, contemporanea alla prima. Entrambe le aree sepolcrali furono utilizzate per secoli, fino all’età romana. Il nostro speciale itinerario alla scoperta delle necropoli della Penisola del Sinis, toccherà proprio questi luoghi, in antichità punto di incontro immaginario tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Le aree funerarie di Tharros in età fenicio-punica

La presenza di popolazioni fenicie che si stabiliscono nel territorio di Tharros è attestata fin dalla fine del VII a.C. Infatti, intorno al 625 a.C. vengono costituiti gli spazi funerari: il tofet e le due necropoli. Il tofet è un santuario a cielo aperto tipico della civiltà fenicio-punica. Quello tharrense accoglie i resti incinerati di neonati e bambini fino ai 5 anni di età, deposti in un lungo spazio temporale, dalla fine del VII al II a.C. Il tofet presenta inoltre la particolarità di essere inserito tra i resti delle capanne del villaggio nuragico di Murru Mannu, unico caso finora noto in tutta la Sardegna.

Scavi del Tofet di Tharros (Fonte: Acquaro e Finzi 1986: 36).

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Le necropoli, come anticipato, sono due, entrambe coeve all’installazione del tofet e usate fino all’età romana. In questo articolo osserveremo le principali analogie e differenze tra quella meridionale e la settentrionale, oltreché gli elementi peculiari. In questo modo, attraverso i riti funerari e le pratiche di sepoltura, faremo chiarezza sulla vita degli abitanti di Tharros che dagli studi sembrano avere “variegata provenienza e formazione culturale” (Del Vais e Fariselli  2010: 19).

Le necropoli fenicio-puniche: caratteristiche e peculiarità

I dati riguardanti le due aree di sepoltura sono in continua evoluzione, grazie al costante lavoro che vede impegnate le Università di Cagliari e di Bologna, rispettivamente nella persona di Carla del Vais e Anna Chiara Fariselli. La lunga collaborazione tra le due studiose ha permesso di evidenziare un’omogeneità sia nei tipi di sepoltura che nei rituali praticati nelle necropoli.

Vediamo di riassumerne le caratteristiche principali.

1. I riti di deposizione praticati

Entrambe le necropoli sono caratterizzate da una fase più antica (definita arcaica), datata tra l’ultimo quarto del VII a.C. e la prima metà del VI a.C. (circa dal 625 al 560 a.C.), in cui il rito prevalente è la cremazione.

Pannello della necropoli meridionale
Pannello della necropoli meridionale con diversi tipi di sepolture, da sinistra a destra: tomba a fossa parallelepipeda (inumazione), tomba a fossa (incinerazione), tomba a camera (inumazione) con edicola contenente un betilo di pietra.

Questa fase, corrispondente all’età fenicia, si caratterizza per due tipi di pratiche: incinerazione primaria e secondaria. La prima indica che il corpo del defunto veniva cremato nel punto stesso del seppellimento. La seconda invece che la cremazione avveniva in un altro luogo e poi le ossa calcinate venivano traslate nel luogo dell’interramento. In questo caso, la prima parte del rito si svolgeva all’interno di ustrina (ustrinum al singolare), delle fosse preposte all’incinerazione, utilizzate più volte e pertanto archeologicamente riconoscibili grazie alle intense tracce di bruciato.

La fase successiva si riferisce al periodo punico, iniziato convenzionalmente nella seconda metà del VI a.C. (540 circa) e caratterizzato dal rito dell’inumazione. Questa pratica consisteva nel deporre il defunto, il cui corpo poteva essere avvolto in teli probabilmente di lino, o posto in casse lignee, o ancora su lettighe, direttamente all’interno della tomba.

Necropoli settentrionale a Tharros
Necropoli settentrionale di San Giovanni di Sinis

La cremazione di solito viene attribuita al periodo fenicio mentre l’inumazione a quello punico, ma dai dati di scavo pare emergere che a Tharros non fu esattamente così. Le due pratiche di sepoltura sembrano coesistere almeno in alcuni momenti.

 2. Le tipologie tombali

In età fenicia, le sepolture a incinerazione venivano scavate nella sabbia (o terra nell’area funeraria meridionale) e, meno frequentemente, nel bancone calcarenitico. Nella necropoli settentrionale finora sono state documentate unicamente le tombe a fossa, di forma variabile. Le più frequenti sono ellittiche, più o meno allungate, ma non mancano le sub-circolari e le sub-rettangolari.

Pannello della necropoli meridionale di Tharros
Pannello della necropoli meridionale con alcuni esempi di tombe a inumazione

Nella necropoli meridionale, invece, oltre alle tombe a fossa vi sarebbero anche quelle a cista litica (costituite da lastre in pietra infisse nel terreno e ricoperte da un lastrone) documentate negli scavi condotti nel 1800. Nelle prime, le ossa sono poste all’interno di un’urna di ceramica o di pietra; nelle altre forse avvolte da un sudario o semplicemente deposte sul fondo della fossa.

Sono stati rinvenuti alcuni sistemi di copertura sia nel cimitero settentrionale che nel meridionale: dal lastrone monolitico in calcarenite all’accostamento di diversi blocchi ben squadrati. Dall’impiego di numerose schegge di piccola e media dimensione, frammiste a terra all’usanza di coprire la tomba con una doppia serie di lastre sovrapposte, cementate con argilla.

Tombe a fossa a Capo San Marco
Tombe a fossa della necropoli meridionale

Passando all’età punica, dal 540 a.C. circa, si hanno due tipi tombali entrambi destinati all’inumazione:

  1. le tombe a fossa del tipo parallelepipedo;
  2. le tombe a camera.

Entrambi i tipi sono scavati nella calcarenite, fino ad una certa profondità, e sono pertanto dette ipogeiche. Le tombe a fossa hanno forma rettangolare e profondità tale da costituire una sorta di sarcofago incassato. Erano coperte con lastre giustapposte o veri e propri coperchi monolitici.
Le tombe a camera, invece, sono caratterizzate da un accesso gradinato, un corridoio (dromos) libero da scale e la cella funeraria. Il dromos presenta diverse soluzioni per la discesa. La più frequente è la realizzazione di una scala sul lato destro e lungo del dromos. Non mancano però veri e propri gradini ricavati nel lato corto dell’ingresso al dromos. Una soluzione intermedia è quella in cui si osservano degli intagli ricavati lungo la parete di accesso, interpretabili come delle pedarole.

Tomba a camera della necropoli settentrionale
Interno di una tomba a camera e vista dell’ingresso con le scale sul lato

Da segnalare che, nella necropoli settentrionale, queste tombe ipogeiche si trovano anche nell’area occupata dalle sepolture ad incinerazione, permettendo di ipotizzare che le due pratiche, inumazione e cremazione, abbiano potuto convivere per un certo lasso di tempo.

3. I corredi funerari

Per quanto riguarda i corredi, ossia i materiali presenti nelle deposizioni, bisogna distinguere tra il corredo rituale e quello personale. Il corredo rituale è l’insieme degli oggetti utilizzato durante la sepoltura, di cui tutti o una parte venivano interrati con il defunto. Quello personale, invece, appartiene alla persona o al gruppo familiare e varia maggiormente rispetto al corredo rituale.

Nelle tombe di età fenicia, a incinerazione, gli elementi funzionali al rito mostrano una certa standardizzazione/omogeneità. Si tratta di brocche con orlo trilobato (probabilmente per contenere linquidi, vino?) e con orlo a fungo (per cospargere il corpo di oli profumati), oltre ché olle da cucina (cooking pot) unite a piatti, collocati in posizione verticale o rovesciati. Tra gli oggetti di importazione non mancano le coppe etrusco-corinzie.

Il corredo personale si contraddistingue per la presenza di gioielli in argento e bronzo, corallo, pasta di vetro, ambra, valve di conchiglia ad uso di vasetto cosmetico, elementi interpretabili come amuleti, ma anche lance e pugnali in ferro. Si segnala inoltre che dai dati degli scavi del XIX secolo sappiamo che in alcune sepolture di età fenicia della necropoli meridionale, furono recuperati degli oggetti in bronzo nuragici.

Le tombe coeve, ma della necropoli settentrionale, mostrano invece le ossa calcinate spesso coperte o frammiste agli oggetti ceramici. Non mancano casi però in cui il corredo è deposto da una parte della fossa oppure al suo esterno.

Più complessa è la ricostruzione del rituale funerario (o rituali funerari) concernente le sepolture ipogeiche di età punica. Infatti, queste hanno subito le sistematiche attività di tombaroli, alla ricerca dei preziosi corredi che le caratterizzavano. La presenza di nicchie sulle pareti laterali delle camere sepolcrali, unita ad alcuni disegni dei ritrovamenti del XIX secolo permettono di affermare che qui venisse deposto parte del corredo.

Interno di tomba ipogeica punica ed altre antichità tharresi ad illustrazioni delle prime ricerche condotte dal Canonico Giovanni Spano (Fonte: Acquaro e Finzi 1986: 23).

In generale, gli scavi recenti hanno messo in luce abbondante ceramica di uso domestico (brocche, anfore, coppe e piatti), e in alcuni casi resti di cibo funzionali alla vita ultraterrena. Non mancano amuleti che rimandano alla simbologia egiziana e scarabei realizzati in vari materiali.

Recentemente, le informazioni ancora scarne sono state arricchite dal ritrovamento della tomba n. 49. Lo strato di terra che sovrastava il defunto conteneva ben cinque amuleti in pasta silicea e steatite ancora in fase di studio. Lungo il fianco destro del corpo vi era una olla capovolta (cooking pot), mentre sotto le gambe un piatto. Un altro piatto, rovesciato e rotto in antico, potrebbe indicare il “noto rituale post mortem di frantumazione delle stoviglie” (Fariselli 2008: 19). Per ultimo, è stata ritrovata un’altra forma, incompleta, addossata all’angolo sud- orientale. Il corredo personale era composto ancora da un amo in bronzo e uno scarabeo, in pasta o steatite. Questo si trovava accanto alla spalla sinistra indicando o una possibile abitudine rituale oppure il suo scivolamento dall’originaria posizione, ipotizzabile sul petto del defunto.

La ricchezza delle tombe tharrensi divenne nota fin dal XIX secolo, molti dei suoi monili in oro furono depredati dalle tombe a camera, e in pochi sono ancora conservati in collezioni museali italiane o estere. La violazione fu talmente estesa che, anche durante i recenti scavi condotti nelle necropoli di Tharros, difficilmente gli archeologi si sono imbattuti in una sepoltura non ancora violata.

Chiudiamo con un interessante reportage sugli “ori di Tharros”, ovvero alcuni preziosi corredi funerari rinvenuti nelle necropoli.


Se l’articolo è stato di vostro interesse e volete approfondire le notizie sulle necropoli di Tharros, vi invitiamo a partecipare alla nostra visita guidata!

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Necropoli di Tharros

L'Autore

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Claudia Sanna
Archeologa e guida turistica, appassionata del mio lavoro, attiva nella comunicazione e promozione del patrimonio culturale.

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